Gli alleati frenano: nessuno romperà Ma il governo resta appeso a un filo
ROMA — L’unica cosa che fa sorridere Berlusconi in queste ore convulse è quando gli raccontano di un governo prossimo venturo, con un altro presidente del Consiglio a Palazzo Chigi. Perché nessuno dei maggiorenti di centrodestra ha interesse a una crisi di governo, quantomeno non adesso. Non ce l’ha Bossi, che ha spiegato al premier come non ci sia «nessuna volontà di tradire il nostro rapporto e la nostra alleanza». E nemmeno Maroni, che l’altro ieri — al termine del Consiglio dei ministri — ha detto a Frattini quanto poi ha ripetuto ieri in Transatlantico ai leader delle opposizioni: «Non rompo con Silvio e figurarsi se rompo con Umberto».
Eppure è vero che il governo è appeso a un filo, «se resta in piedi sarà un miracolo», ammette Matteoli. Troppe pressioni e tutte insieme, l’accerchiamento di Bruxelles che appare più minaccioso della tenaglia romana, la questione giudiziaria che insegue il Cavaliere, la difficile sopravvivenza in Parlamento che costringe alla presenza i ministri ad ogni votazione della Camera. «Come riusciamo a resistere è un mistero», prosegue il titolare delle Infrastrutture: «Non ci sono precedenti a memoria di storia repubblicana». E nella sua ricostruzione degli eventi, Matteoli rivela che l’altra sera «il governo era praticamente morto».
Ci sarà un motivo se l’indomani Casini ha rincuorato i suoi deputati: «Ragazzi non temete, Berlusconi si salva anche stavolta». E la battuta era accompagnata da un sospiro di sollievo. Se il Cavaliere è ancora in vita, non è solo perché l’opposizione intende lasciare al centrodestra il «lavoro sporco» sul risanamento dei conti pubblici. Ma anche perché (quasi) tutti i dirigenti della maggioranza vogliono arrivare fino in fondo alla legislatura per gestire la fase elettorale. E (quasi) tutti la pensano come Maroni, che vive come una minaccia la crisi di governo prima di gennaio: un altro esecutivo porterebbe in dote una nuova legge elettorale, magari ostile alla Lega, se non anche al Pdl.
Insomma, non è all’ordine del giorno la prospettiva di una staffetta a Palazzo Chigi, «non ci sarà un altro premier del nostro partito in questa legislatura», ha avvisato Alfano a «Porta a Porta», spazzando via così le ipotesi di un governo guidato da Gianni Letta o dal presidente del Senato, Schifani. Qualche probabilità in più l’avrebbe un gabinetto tecnico, «e l’ipotesi Monti — secondo Matteoli — in questi ultimi tempi ha camminato più di quanto noi pensassimo. Se penso ai rapporti di Sarkozy con Fini, e al rinnovato interventismo del presidente della Camera…». Ma «l’ipotesi» resta sullo sfondo, come un promemoria per quanti nel centrodestra non avvertissero qual è il pericolo.
Perciò un’intesa tra Berlusconi e Bossi appare inevitabile prima della difficilissima missione europea del premier. Non c’è dubbio che il nodo della previdenza ha rischiato e rischia di strangolare il governo, e l’ultimo scontro tra i due alleati è ruotato attorno a un passaggio della lettera che il Cavaliere presenterà oggi ai partner dell’Unione, laddove si prospetta un «riassorbimento delle pensioni di anzianità ». Il Senatur l’ha interpretato come un cavallo di Troia che avrebbe finito per colpire l’elettorato leghista. Un accordo sulle pensioni di vecchiaia restava più facile. Il Carroccio ha però chiesto e ottenuto che nel documento del governo fossero inserite restrizioni anche nel comparto pubblico, con una revisione del rapporto di turn over dei dipendenti statali e la possibilità che il personale venga messo in «mobilità ».
Resta da capire se le misure approntate basteranno all’Unione, questo è il punto. E in molti temono che non basteranno. «Ma tu devi andare in Europa alzando la voce, Silvio», gli hanno ripetuto in coro Bossi e i ministri del Pdl, non si sa quanto convinti. La preoccupazione è concentrata soprattutto sulla risposta dei mercati al piano di risanamento e di rilancio. D’altronde, l’idea che il governo possa ricavare dalla vendita del patrimonio pubblico cinque miliardi l’anno per il prossimo triennio, non la beve neppure Berlusconi: «Chi mai potrebbe comprarsi gli immobili dello Stato? Magari io potrei permettermi l’acquisto di Palazzo Chigi».
Pur senza acquistarlo, a Palazzo Chigi il Cavaliere intende restarci per festeggiare il capodanno del 2012. Al traguardo del 2013, ormai, non ci crede: «Speriamo — aveva detto la scorsa settimana a un esponente del governo — ma la situazione è complessa». In questo contesto va inquadrato il «pessimismo» espresso ieri da Bossi, ovviamente contrario a governi tecnici, e proiettato semmai sulla scadenza della legislatura. Perché — a meno di una crisi a breve — è sulle prospettive future che i giochi sono aperti. E ai vertici della Lega resta minoritaria la pulsione di rompere con il Pdl.
Semmai c’è chi — come Maroni — ha in mente la costruzione di «un nuovo centrodestra»: l’asse con Alfano si corrobora oggi di un rapporto stretto nel governo con Sacconi. Non è un caso se il libro scritto dal ministro del Welfare, Ai liberi e forti, è stato definito dal titolare dell’Interno «un nuovo manifesto dell’alleanza». E il «ticket» per Palazzo Chigi con il segretario del Pdl pare visto in prospettiva positivamente anche dal Cavaliere. È questo il disegno che passa da un ritrovato accordo con i centristi di Casini, e punta alla riconquista di Palazzo Chigi, con l’obiettivo — per Maroni — di diventare vicepremier e di guidare la Farnesina: si tratterebbe di una novità politica, perché un leghista si assumerebbe il compito di rappresentare l’Italia all’estero.
«È giunto il momento dell’evoluzione», secondo il dirigente del Carroccio, in vista «tra non molto» di una «fase nuova, e di una rinnovata alleanza». Ma perché il processo si compia e possa misurarsi alle urne, è necessario che Berlusconi regga almeno «fino a gennaio». Sono solo due mesi. In queste condizioni sono un’eternità .
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