Geppino, 11 anni e un mestiere a due euro l’ora “La scuola è per bambini, io devo campare”

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NAPOLI – «La scuola? È p”e criature». Geppino “testa calda” ti sfida con gli occhi. Certo, è affare di bambini la scuola cui guarda questo Pinocchio al contrario, che ha dato via i sussidiari in cambio di giornate più dure e non crede nei campi dei miracoli. «Che cosa so fare di mestiere? Uno ‘e tutto. Il lavoro è lavoro». L’aria giocosa di chi sfoggia sguardi da adulto. E quella difesa che spunta coma seconda pelle: la risata. Nervosa, indagatrice.
Nome Giuseppe, lo chiamano Geppino, ha 11 anni, è uno dei sessantamila dispersi della scuola in Campania. Pelle olivastra, mani sottili. Una casella tra i cold case dell’istruzione. “Apprendista” in una tipografia dell’hinterland. Sneaker arancio della Nike, jeans firmati Cavalli. «Solo la maglia è cinese, quella buona si sporca di fatica e quindi me la metto il sabato». La paga di Geppino, 150 euro a settimana. «Più qualche mancia, se vado per consegne». I compagni, l’unica famiglia. Di sua madre non vuole raccontare, suo padre è detenuto per truffa, un tempo era camionista. E c’è un viaggio che il figlio ricorda di avere fatto con lui, dall’Asse mediano di Napoli al lungomare di Riccione. «Era divertente fermarci alle piazzole col panino. Anche dormire sul furgone mi piaceva. Quando arrivammo fino a là , vidi per la prima volta tanti alberghi vicini. E pure le file di ombrelloni uguali, ordinati. Non come sulle spiagge nostre dove ognuno va con le sedie sue». Ora Geppino vive con i nonni a Casalnuovo, un posto dove anni fa qualcuno riuscì ad erigere e perfino a vendere ben 29 palazzi abusivi, oggi in parte demoliti.
Geppino il tipografo somiglia a quei palazzi. Oggetto di una dimenticanza collettiva, segno di complicità  rimossa. Quanti sono gli “onesti” che le famiglie lasciano andare e lo Stato finge di non vedere? Un esercito. Napoli se ne conferma capitale. Quarantamila solo nell’area metropolitana, come ricorda spesso la Fondazione Banconapoli. Ma i dati incrociati – l’ex anagrafe scolastica regionale e il welfare precario che assiste le famiglie disagiate – tracciano uno scenario più articolato. «I dispersi al di sopra dei 14 anni sono circa 52.000 in Campania», racconta Amelia Cozzolino, dell’ex progetto Suaris, Supporto all’attività  di inclusione scolastica, cancellato in Regione da un anno. Continua Amelia: «A Napoli e provincia c’è il picco di abbandono per fascia d’età  più bassa: 80 casi accertati nel centro della città , e oltre 50 tra i 6 e i 7 anni. E molti di questi bambini hanno a loro carico situazioni di disabilità  fisiche o psichiche. Oggi? Può solo peggiorare. Avevo spinto una mia vicina al corso di parrucchiera. Poi il progetto è saltato. Lei è tornata a fare la shampista in nero. Ha 14 anni». Si rischia di parlarne solo nella “Giornata mondiale dello sfruttamento”.
Con il divampare della crisi, e i tagli agli enti locali, quale posto occupano gli “operai” invisibili? Cesare Moreno, fondatore della scuola di strada con Marco Rossi-Doria, detesta le classifiche che confinano con il colore. «Non cercate bimbi di 8 anni che fanno i baristi. Cercate l’enorme pattuglione dei 12enni o 16enni che alla scuola voltano le spalle e stanno nella fabbrica del sommerso o in quella del crimine, purché si sentano considerati».
In un’altra trincea, tra Castellammare e Pompei, i baby lavoratori passano qualche ora di svago e formazione a “La voce d”e criature” di don Luigi Merola, fondazione dell’ex parroco del rione Forcella. Ergan, 15 anni, origini slave, lavora da un fioraio per 160 euro a settimana. Sveglia alle 2 di notte. Solo quando può, frequenta la terza media. «Ho perso due anni a ripetere la quarta elementare. Ci andavo, e dormivo. Presi pure a cazzotti una prof». Vive con i nonni: sfondo consueto, i minori aggrappati alla pazienza degli anziani. «Ho un buon principale. Quando serve che lavoro di notte, io monto alle 3 e finisco alle 7. Che cosa me ne faccio dei soldi? Porto la fidanzata il sabato a ballare ai locali di Sorrento, mi vesto». Di tanti fiori, Ergan non ha trattenuto che un nome. «Le rose, solo quelle mi piacciono».
Altra location. Scampia, via Fratelli Cervi. Nella curva dietro l’insediamento delle Vele, oltre una ditta di nettezza urbana, c’è sempre stato un porto per questi ragazzi. Dal nome austero: “Educativa territoriale”. Dentro, cento iscritti, oltre la metà  «casi delicati». Significa: con parenti detenuti. Antonio ha 11 anni. Corpulento, mani grandi, che spesso picchiavano. Ha assaggiato molti lavori. «Il panettiere, lo scaricante, il barista e il ragazzo che controlla la merce esposta, sennò se la fottono. Farei tutto, tranne lo schiattamuorto», il fossatore. Le educatrici spendono ogni energia. Uno ribatte: «Se lavoro perché nascondermi? Non è meglio che spacciare?». Martellante il richiamo all'”altro” lavoro, il Sistema, la camorra. Chi fa il “palo”, cioè avvisare dell’arrivo della polizia, qui prende 150 euro al giorno.
Ma tanti si accontentano di un (sotto)lavoro. Come Geppino, sembrano sereni. «Se uno lavora, campa», ridono. Anche del loro futuro.


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