by Sergio Segio | 20 Ottobre 2011 7:48
ROMA – Al telefono con un interlocutore misterioso, alle sei di sera, Giulio Tremonti offre una fotografia veritiera dell’avvitamento del governo sulla nomina del successore di Mario Draghi: «Fidati di me – dice a voce bassa il ministro dietro una colonna in Transatlantico – su Bankitalia non è deciso nulla». Lo stallo è totale e in qualche modo Berlusconi, che ha annunciato per oggi la decisione, dovrà districarsi tra i veti contrapposti. Sembrava esserci riuscito ieri mattina quando, salito al Quirinale per la cerimonia dei cavalieri del lavoro, in un breve colloquio con il capo dello Stato aveva avanzato timidamente il nome di Lorenzo Bini Smaghi. Un candidato che ha un grandissimo pregio agli occhi del premier: andando a guidare la Banca d’Italia libererebbe la poltrona della Bce che spetta adesso a un francese. Dando modo così al Cavaliere di presentarsi domenica al Consiglio europeo senza patemi d’animo, potendo guardare in faccia Sarkozy.
Fatto sta che, nonostante dal Quirinale non sia venuto alcun veto formale sull’attuale membro del board Bce, la reazione di Napolitano deve aver provocato qualche ripensamento nel premier. Quando infatti il capo dello Stato lo ha invitato a valutare bene se il prescelto («chiunque esso sia») rispondesse alle tre caratteristiche necessarie per l’incarico – autorevolezza, autonomia e, soprattutto, continuità – Berlusconi ha capito che doveva ricominciare tutto da capo. «Costruire un largo consenso su una candidatura autorevole», questo l’imperativo del Colle. Un «consenso» che, allo stato, sul nome di Bini Smaghi non sembra esserci. E non sono soltanto le critiche politiche piovute ieri da Fli e Udc sul «comportamento vergognoso» che avrebbe tenuto l’economista fiorentino non dimettendosi spontaneamente dalla Bce. O la nota congiunta di Casini e Bersani che chiede a Berlusconi di «rispettare le competenze interne» della Banca, lasciando così intravedere la fotografia di Saccomanni, numero due di Bankitalia. I problemi maggiori Bini Smaghi li avrebbe proprio dentro l’Istituto che dovrebbe andare a dirigere. Tanto che le voci dall’interno di via Nazionale si spingono ad ipotizzare conseguenze forti nel caso il Cavaliere insista con la sua candidatura. Che potrebbe a questo punto ricevere un voto contrario del Consiglio Superiore della Banca, con parere negativo alla nomina. Uno strappo istituzionale clamoroso. Certo si tratterebbe di un parere «non vincolante» e, in teoria, palazzo Chigi potrebbe comunque procedere con Bini Smaghi. Con il rischio tuttavia che si dimettano in massa i componenti del Consiglio Superiore, come arma estrema di dissenso. Per uscire dall’impasse Berlusconi le sta pensando tutte, mentre le lancette corrono. Ieri sera è circolata l’ipotesi che, nel caso Bini Smaghi riesca a superare gli ostacoli e planare sulla scrivania di Draghi, per l’attuale direttore generale Saccomanni si aprirebbe la strada di una nomina a presidente dell’Antitrust. Mentre Ignazio Visco, attuale vice di Saccomanni, avrebbe la promozione a direttore generale.
Con Bini Smaghi che balla, è ricominciata inevitabilmente la tarantella dei nomi alternativi: Fabrizio Saccomanni, Ignazio Visco e, new entry, Anna Maria Tarantola, attuale vice direttore generale di Bankitalia. Una donna, un’esperta, un’interna all’Istituto. In più con la discreta benedizione del cardinal Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano. E vista la preoccupazione del premier per il franare della sponda cattolica (dopo il convegno di Todi), l’idea di nominare una candidata gradita anche al Vaticano ha solleticato la mente del Cavaliere.
C’è poi ancora tutta aperta la questione di Vittorio Grilli, il candidato sponsorizzato da Tremonti e, indirettamente, da Bossi. Il ministro dell’Economia infatti non molla e quanto possa essere un osso duro lo ha sperimentato ieri il ministro Paolo Romani, incaricato da Berlusconi di seguire il decreto Sviluppo. Tra i due c’è stato un aspro confronto a palazzo Grazioli, davanti al premier, a Letta e Angelino Alfano. Sono volate parole grosse, con Tremonti che smontava una ad una le proposte del collega. Un vertice concluso dopo soli 40 minuti, con il ministro dell’Economia che si congeda bruscamente rinfilando nella borsa le proposte approntate da Romani: «Queste non vanno. Se vi viene in mente un’idea migliore avvertitemi».
Stallo sulla Banca d’Italia, stallo sul decreto Sviluppo. Le preoccupazioni del premier per la tenuta del governo crescono ogni giorno di più, nonostante la fiducia appena incassata. Così, per puntellare la maggioranza, Berlusconi starebbe pensando di offrire un posto da ministro a Claudio Scajola, leader di un reggimento di deputati insofferenti.
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