by Sergio Segio | 28 Ottobre 2011 7:03
MILANO – Un danno all’Erario di 245 milioni. È il succo dell’operazione Brontos, per la quale ieri il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ha chiuso le indagini, e porta la firma di Alessandro Profumo, ai tempi amministratore delegato di Unicredit e il bollino blu dello Studio Tremonti.
L’ex numero uno di Piazza Cordusio avrebbe deliberato «la realizzazione delle operazioni» per frodare il fisco «apponendo la propria sigla» alle richieste di approvazione dell’investimento. Il tutto con la benedizione dello studio del ministro Giulio Tremonti, chiamato oggi a dare la caccia proprio agli evasori fiscali per risanare i conti dell’Italia. Il reato contestato a Profumo è la dichiarazione fraudolenta dei redditi con ostacolo alle indagini ed arriva sino «al 28 settembre 2009». Attraverso l’operazione Brontos proposta da Barclays a Unicredit, la banca avrebbe messo a bilancio dividendi quando in realtà si trattava di interessi. Un raggiro che ha permesso alla banca di pagare solo il 5% al Fisco sui proventi dell’operazione invece che il 100% e ottenere così un risparmio fiscale di 245 milioni.
Le operazioni si sono susseguite per gli anni 2007 e 2008, mentre per il 2009, dopo l’intervento della procura le cose sono cambiate. E la banca ha iniziato a contabilizzarle in modo diverso. Nel 2007 a dare fiducia a Profumo era stato niente meno che lo studio Vitali Romagnoli Piccardi e Associati, che nella sua carta intestata registrava in bella evidenza “fondato dal professor avvocato Giulio Tremonti”. «L’operazione non pare connotata da elementi tali da determinare un “aggiramento” di obblighi o divieti posti dalla normativa tributaria, per mezzo di stratagemmi o artifici strumentali», si legge nel parere rilasciato il 30 marzo 2007. E ancora: «Per quanto una contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria sotto il profilo della disciplina antielusiva non possa mai essere esclusa a priori, risultano sussistere validi argomenti utilizzabili per fronteggiare un eventuale sindacato fiscale fondato sulla predetta disciplina».
Il parere porta la firma di Lorenzo Piccardi, il partner dello Studio Tremonti, chiamato a esprimersi sull’operazione Brontos anche per l’anno successivo. Il 9 aprile 2008, infatti, Piccardi con un vero e proprio “copia e incolla” ripete le parole dell’anno precedente su un nuovo documento nella cui intestazione campeggia sempre il nome del numero uno delle Finanze. Per il 2009, però, qualcosa cambia. Ad aprile Tremonti diventa ministro e a settembre nelle stanze di Unicredit arriva la Guardia di Finanza, mandata dalla procura di Milano. Dalla carta intestata dello Studio dei tributaristi sparisce il nome di Tremonti: un primo parere del 23 gennaio 2009 è praticamente identico ai precedenti, mentre in quello del 10 settembre 2010 si cambia musica. «La vostra società – scrivono gli esperti dello studio – procedendo alla redazione della dichiarazione in linea con l’impostazione del Fisco, eviterebbe sanzioni tra il 100 e il 200%, la contrapposizione forte con l’amministrazione finanziaria, il danno della possibile reiterazione di un’azione penale e il danno reputazionale. Quindi è «prudente e corretto» pagare le tasse e poi chiedere eventualmente «una motivata istanza di rimborso».
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