Fattori di conversione e algebra umana

by Sergio Segio | 19 Ottobre 2011 6:32

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Ma in quest’algebra umana, si possono effettuare altre operazioni: applicando la proprietà  transitiva, si scopre che 41 egiziani valgono (per Israele) 1.027 palestinesi. Ovvero: 1 egiziano equivale a 25,045 palestinesi. In termini di peso, un palestinese vale 3,19 kg di un egiziano di 80 kg.
Non è la prima volta nella storia che si usano tavole di conversione. Per esempio, se togliere una vita rende negativa l’unità  e la fa precedere da un segno meno (-), allora per la Germania nazista, durante la guerra, – 1 tedesco equivaleva a – 10 cittadini occupati (cioè ogni tedesco ucciso doveva esere risarcito da 10 morti nemiche): così il 24 marzo 1944 alle Fosse ardeatine 335 romani furono uccisi per «bilanciare» la morte di 33 soldati tedeschi il giorno prima.
Anche nell’attuale caso del Medio Oriente, si può supporre che il fattore di conversione stabilito per scambiare i prigionieri valga anche col segno meno. Approssimativamente è già  vero: cioè già  oggi è dell’ordine delle migliaia di morti palestinesi il fattore di conversione per la morte di unità  israeliane.
Bisognerebbe proporre di estendere l’uso del fattore di conversione ad altri conflitti e in base ai risultati ottenuti ridisegnare la carta del mondo, un po’ come fanno da tempo i cartografi dell’à‰cole des Hautes à‰tudes en Sciences Sociales a Parigi, che dilatano o contraggono le superfici degli stati e dei continenti in proporzione al loro Pil, o alla loro parte nel commercio internazionale: con questi criteri l’Italia diventa grande come un terzo d’Africa e l’Africa si riduce a un mignolino.
Si potrebbe applicare l’algebra umana alla guerra in Iraq e vedere a quanti morti iracheni equivalgono i 4.796 soldati americani uccisi o, se si considera quella guerra come cieca (e per altro ingiustificata) vendetta per l’11 settembre 2011, aggiungervi anche le 2970 vittime di quegli attentati. Si scoprirebbe che anche qui il fattore di conversione è dell’ordine di grandezza del centinaio, cioè di un centinaio di iracheni uccisi per ogni americano morto.
Non sempre quest’algebra umana è cosciente e precisa. Più spesso è inconscia e all’ingrosso. Così, una catastrofe in Africa non è nemmeno presa in considerazione se non viene declinata in milioni di vite (africane): ben lo sanno le ong che devono raccogliere fondi per i sinistrati e che a questo scopo gonfiano ormai da anni le dimensioni dei disastri nel Terzo mondo, che altrimenti cadrebbero nell’indifferenza generale: segnalo l’interessante articolo di David Rieff sull’ultimo numero di Foreign Policy, dal titolo espressivo: «Milioni muoiono.. o forse no. Come pompare i disastri è diventato un grande business globale». Come si vede, l’algebra umana è una disciplina in pieno, e promettente, sviluppo.

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