Fabbrica Italia, Fiat attacca Consob
TORINO – Fiat respinge al mittente gran parte delle richieste della Consob che nei giorni scorsi aveva chiesto al Lingotto maggiori dettagli sul piano Fabbrica Italia. «Fabbrica Italia non è mai stato un piano finanziario ma l’espressione di un indirizzo strategico della Fiat», si legge nella risposta che Torino ha dato in occasione del cda per l’approvazione dei dati trimestrali. Questo perché «Fiat, come ogni suo concorrente, riesamina continuamente i propri piani e ha necessità di poterli adeguare alle condizioni del mercato». Dunque «Fiat non è in grado di fornire informazioni al livello di dettaglio nei termini richiesti da Consob». In ogni caso, «alla luce dei possibili fraintendimenti, equivoci e irrealistiche attese», Fiat «si asterrà , con effetto immediato, da qualsiasi riferimento a Fabbrica Italia». Naturalmente il Lingotto «esprime il proprio disappunto per il fatto, deplorevole, che il 22 ottobre 2011 la dettagliata richiesta della Consob sia divenuta di pubblico dominio e sia stata ripresa dalla stampa». Un linguaggio che ha irritato gli ambienti della Commissione: si faceva notare ieri che la richiesta di chiarimenti era puramente tecnica, fatta a fini di trasparenza e tutela degli azionisti.
Archiviata così la pratica Consob e abolita l’espressione «Fabbrica Italia», il cda del Lingotto ha deciso la rivoluzione azionaria: dal 1 gennaio prossimo saranno abolite le azioni di risparmio e le privilegiate. «Saranno convertite in ordinarie – spiega un comunicato – al valore di 0,875 (0,725 per Industrial) azioni ordinarie per ogni privilegiata e di risparmio». «In questo modo – ha dichiarato Marchionne – si semplifica la struttura del capitale». Con l’ingresso di ordinarie e privilegio nel capitale ordinario si diluisce la quota degli azionisti: «Manterremo comunque la partecipazione al di sopra della soglia Opa», (che è di circa il 30 per cento) ha dichiarato John Elkann, presidente di Exor.
Poi i cda hanno esaminato i conti del terzo trimestre 2011. Conti lusinghieri soprattutto grazie all’effetto Chrysler. Per la prima volta le vendite della casa americana (salite del 15 per cento) hanno superato quelle della Fiat: Detroit batte Torino 469 mila a 460 mila. La redditività in Usa è tripla rispetto a quella italiana: il 6 per cento contro il 2 per cento dei ricavi. Così i due terzi dell’utile della gestione ordinaria (851 milioni contro i 256 dello scorso anno) sono fatti dall’altra parte dell’oceano. Fiat batte Chrysler invece sul piano della liquidità : nelle casse di Torino ci sono 12,8 miliardi mentre in quelle di Detroit i miliardi sono 8. Marchionne e John Elkann confermano i target del 2011: 58 miliardi di ricavi, e un utile netto di 1,7 (2,1 quello della gestione ordinaria). Gli investimenti 2011 si attesteranno a 5,5 miliardi, uno in più delle previsioni di Fabbrica Italia. Grazie alle performances di Chrysler e di Fiat Industrial (ricavi in aumento dell’11,7 per cento e utile netto raddoppiato a 204 milioni), nel 2011 Fiat supererà il record di utili del 2008. Nel terzo trimestre gli utili della gestione ordinaria sono stati pari a 1,3 miliardi.
Tra le buone notizie per Marchionne c’è l’approvazione, da parte dei lavoratori Chrysler, del faticoso contratto di lavoro che prevede incrementi per le paghe minime e un bonus da 3.500 dollari. Il sì ha ottenuto il 54,8 per cento dei voti, esito curiosamente simile al referendum di Mirafiori. Ma in questo caso sarebbe stata decisiva l’approvazione degli operai di linea mentre tra gli specializzati avrebbe vinto il no. Come tenerne conto? «Rispettiamo i diritti delle minoranze ma non possiamo consentire che prevalgano su quelli delle maggioranze», ha risposto il leader della Uaw, Bob King. Anche lui, come Marchionne, vuole evitare «la dittatura della minoranza»?
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