Età  a 67 anni, i tedeschi dopo di noi

by Sergio Segio | 25 Ottobre 2011 7:05

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MILANO — In pensione a 67 anni per fare come il resto d’Europa? Non proprio, visto che in alcuni Paesi del vecchio Continente, anche nella stessa Francia che ci chiede sacrifici, l’età  media di pensionamento viaggia addirittura sotto i 60 anni. Lo raccontano gli ultimi dati dell’Ocse, riferiti al periodo 2004-2009: gli uomini italiani vanno in pensione in media a 61,1 anni, i francesi a 59,1. Sotto quota 60 anche le donne d’Oltralpe, con il primo assegno previdenziale che arriva in media a 59,7 anni. Questa volta, però, le italiane se la cavano meglio: per loro l’addio definitivo a uffici e stabilimenti arriva a 58,7 anni.
Riforme a confronto
Ma — tra messieurs e signori — a ridere continuano a essere i primi più dei secondi, anche quando in conto si mettono le riforme degli ultimi mesi di Parigi e Roma. Oltralpe l’aumento progressivo dell’età  pensionabile, per gli assegni a tasso pieno di uomini e donne, porterà  l’agognato passaggio dalle scrivanie all’orto in giardino da 65 anni (oggi) a 67 anni nel 2023. In quell’anno, però, gli uomini italiani dovranno avere tre mesi in più dei cugini francesi (67 e 3 mesi, quindi), per andare in pensione, complici le nuove «finestre mobili» e l’adeguamento alla speranza di vita. Quei 67 anni e tre mesi diventano poi 67 anni e nove mesi per gli autonomi, il cui tempo d’attesa della «finestra» è più lungo di sei mesi. Stesso discorso e stessi numeri (67 anni e tre mesi) per le dipendenti del settore pubblico, mentre le assunte nel privato potranno fermarsi a 65 anni e sei mesi. Senza contare, però, l’ultima stretta italiana attesa in questi giorni, che dovrebbe spostare ulteriormente più in là  l’asticella tra Otranto e Ventimiglia.
Ma i francesi hanno dalla loro parte un debito ben più contenuto del nostro, e non si concedono le pensioni di anzianità  all’italiana con il primo assegno a 60 anni per 36 annualità  contributive (più un anno di «finestra»). Oggi possono comunque lasciare il lavoro, per le pensioni che non sono a «tasso pieno», a 60 anni con 40 di contributi. Da sessanta si passerà  a sessantadue nel 2018.
Formiche e cicale?
L’Italia non fa la figura della cicala neanche nel confronto con la formica per eccellenza, la Germania. Incrociando i dati dell’Inps con quelli della Commissione europea si scopre che, mettendo in conto le riforme già  approvate a Roma e Berlino, nel 2020 i tedeschi — uomini e donne — incasseranno il primo assegno previdenziale a 65 anni e nove mesi: vale a dire 14 mesi prima dei maschi italiani (e delle statali), che invece dovranno aspettare i 66 anni e undici mesi. Anche questa volta, poi, gli autonomi d’Italia devono mettere in conto sei mesi in più. Le dipendenti d’azienda, invece, potranno lasciare il lavoro a 63 anni e otto mesi, nell’attesa di un completa parità  uomini-donne e pubblico-privato che dovrebbe arrivare intorno al 2030.
Herr Schmidt e il signor Rossi
Tornando in Germania, Herr e Frau Schmidt dovranno aspettare i 67 anni solo a partire dal 2029, contro il ben più vicino 2023 per i Signori e le Signore Rossi (le statali) e il 2027 delle Signore Bianchi (nel settore privato). Insomma, a quota 67 arriveremo prima noi. E soprattutto i nostri autonomi, che — complice il solito «sovrapprezzo» di una finestra più lunga di sei mesi — arriveranno a quota 67 già  nel 2017. Il confronto si capovolge, ma non di tanto, sulle pensioni di anzianità : noi siamo oggi a una sorta di quota 97 (60 anni d’età , 36 di contributi e un anno di «finestra»), loro a quota 98 (63 anni d’età  e 35 di contributi, ma con un assegno previdenziale «ridotto»).
D’altra parte, però, rispetto a noi i tedeschi vantano conti pubblici decisamente più in salute, un «brand» di affidabilità  granitica e, last but not least, non hanno mai regalato baby pensioni a pioggia. È difficile, infatti, trovare in Germania delle impiegate pubbliche andate in pensione dopo 14 anni, sei mesi e un giorno di contributi. Come invece è successo a tante italiane tra il 1973 e il 1992.
La classifica in Europa
La stretta previdenziale in Europa, poi, cambierà  faccia in questo decennio. Se oggi, infatti, l’Italia è nella parte più «spensierata» della classifica, nel 2020 sarà  â€” giocoforza — nel podio dell’Austherity. Succederà  per le pensioni di vecchiaia degli uomini dipendenti (e delle statali): oggi sono solo sei i Paesi dell’Unione Europea dove i lavoratori incassano in media l’assegno previdenziale prima degli italiani; nel 2020 solo finlandesi e svedesi — e in determinati casi — andranno in pensione dopo di noi. Sarà  ancora più «rigida», in Italia, la situazione per gli autonomi. Mentre sarà  più «generoso» lo scenario, se ci saranno ancora, per le pensioni di anzianità  e — se il livellamento non sarà  anticipato — per le dipendenti del settore privato.
Il caso scandinavo
Anche qui, come sempre, vale la postilla della possibile nuova riforma: se il governo deciderà  in questi giorni un’altra stretta, allora magari «quota 67» si avvicinerà  ancora. E, almeno per gli uomini — e pensioni di anzianità  a parte — potremmo smettere di lavorare più tardi non solo di tedeschi e francesi, ma anche degli scandinavi. Altro che livellamento.

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