Ecco il secondo buco dell’ozono “Nell’Artico come al Polo Sud”
Una «distruzione senza precedenti» che la scorsa primavera «ha raggiunto livelli simili a quelli dell’Antartide». Per la prima volta «possiamo ufficialmente parlare di un buco dell’ozono anche nella regione dell’Artico». La rivista Nature battezza così il nuovo “strappo” nella coperta che ci protegge dalle radiazioni ultraviolette: un foro grande cinque volte la Germania. Nella primavera del 2011, per quasi un mese, al Polo Nord si è aperto un buco dell’ozono gemello di quello al Polo Sud. Con la differenza che l’eccesso di radiazione ultravioletta intorno all’Artico ha colpito gli uomini che vivono nelle regioni settentrionali di Europa, Asia e America.
Il 5 aprile 2011 l’Organizzazione meteorologica mondiale aveva effettivamente lanciato l’allarme per un eccesso di raggi ultravioletti nei paesi scandinavi. «In caso di valori molto alti di Uv – si leggeva nel comunicato – potrebbero bastare pochi minuti di esposizione al Sole, anche in aprile, per restare scottati». E un lieve eccesso di ultravioletti (ancora lontano dall’essere pericoloso) venne misurato in quei giorni anche dagli apparecchi dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Cnr a Bologna. «I valori a Bologna restarono insolitamente alti per qualche giorno. Nella nostra stazione di Lampedusa le misurazioni erano invece normali» spiega Vito Vitale, ricercatore dell’Istituto.
I sospetti di questa primavera vengono confermati ora, con lo studio di Nature coordinato dall’Istituto Alfred Wegener per la ricerca meteorologica e polare di Potsdam che mette insieme i dati dei satelliti e di 30 stazioni situate a cavallo del circolo polare artico. A provocare l’anno orribile dell’ozono al Polo Nord sono stati un inverno particolarmente freddo nella stratosfera e i composti di cloro e fluoro che sopravviveranno per alcuni decenni dopo il bando imposto dal protocollo di Montreal, firmato nel 1987 ed entrato in vigore nel 1989.
Nella fascia d’atmosfera compresa tra i 18 e i 20 chilometri la scomparsa dell’ozono ha raggiunto addirittura l’80%: solo una molecola su 5 è sopravvissuta alla primavera, la stagione in cui si concentra il processo chimico della distruzione di questo gas. «Il fenomeno è iniziato a gennaio, poi è accelerato a tal punto che le concentrazioni di ozono hanno raggiunto livelli molto più bassi dell’anno precedente» spiega Gloria Manney del Jet Propulsion Laboratory della Nasa, prima autrice dello studio. «Il picco minimo è stato registrato durante 27 giorni tra marzo e l’inizio di aprile su una superficie di circa 2 milioni di chilometri quadri».
Un depauperamento simile, notano i ricercatori, era tipico del cielo sopra l’Antartide prima del protocollo di Montreal. Ma la quantità di clorofluorocarburi presenti nell’atmosfera è solo uno dei fattori in gioco. L’altro ingrediente è il freddo. A circa 77 gradi sotto zero infatti si innescano le reazioni chimiche che portano i composti di cloro e fluoro ad aggredire l’ozono. Mentre in Antartide queste condizioni si protraggono per 4-5 mesi all’anno, nel più mite Polo Nord il freddo estremo dura 2-3 mesi.
Non così è avvenuto all’inizio del 2011, quando la temperatura è restata sotto alla soglia pericolosa per 4 mesi (da dicembre fino alla fine di marzo) creando quella che i ricercatori oggi definiscono «una condizione senza precedenti» e «parallela a quella che si misura in Antartide». Altre stagioni grigie per la “coperta” del polo Nord si erano registrate nel 2005, nel 2000 e nel 1996. «Ma in quegli anni la distruzione di ozono era stata incomparabilmente inferiore rispetto al 2011». Quest’anno infatti la perdita del gas è stata quasi tripla rispetto al 1997 e comparabile a quella registrata in Antartide nel 1985, l’anno in cui l’esistenza di un buco dell’ozono venne per la prima volta denunciata al mondo.
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