E Bucarest riscopre il fascino della monarchia
BERLINO. Fu il giovane re dell’epoca più tragica, onesto e pacifista ma politicamente troppo debole, tentò di opporsi invano all’alleanza con Hitler, destituì i fascisti nel 1944 ma poi fu costretto dai sovietici ad abdicare sotto la minaccia di massacri. Ieri, ha festeggiato il suo 90mo compleanno con uno storico discorso in Parlamento. E col suo gran ritorno da vecchio gentiluomo il suo paese e l’Europa intera riscoprono ancora una volta il fascino della monarchia. È accaduto a Bucarest, oggi membro di Ue e Nato e tornata caotica ma dinamica, la “Parigi dei Balcani” che fu sotto il suo regno. Re Michele di Romania, l’ultimo sovrano, ha avuto la riabilitazione che attendeva da una vita, e si è mostrato all’altezza della sfida.
«Non possiamo avere un futuro se non rispettiamo il passato, la Memoria storica e la capacità di fare i conti con ogni pagina del nostro passato sono necessari», ha detto re Michele. Contestato dalle sedie vuote del controverso presidente Traian Basescu e di diversi ministri, ma acclamato alla fine del discorso da una standing ovation. Novant’anni passano per tutti, ma Michele, parente dell’ultimo Kaiser e della regina Elisabetta, non ha deluso. È un bel vecchio vigoroso e gioviale, come si mostrò a Londra, lui familiare dei Windsor invitato di rango al Royal Wedding di William e Kate. Quando, nella grande sala del Parlamentul Romaniei, in un mastodontico palazzo che il dittatore neostalinista Nicolae Ceausescu edificò sulle macerie del centro storico sventrato, l’anziano ex sovrano è giunto, vestito navy blue, camicia bianca e cravatta regimental, l’emozione del momento ha risvegliato i ricordi della Storia.
Michele non sogna restaurazioni, ma torna simbolo dell’unità nazionale. «La corona reale non è un simbolo del passato, ma della nostra indipendenza, sovranità e unità . Nel 1989 riconquistammo la libertà col sacrificio di tanti patrioti, la patria ha ricominciato ad andare avanti, oggi impegniamoci per rafforzare la democrazia e ristabilire la dignità del paese», ha detto. Poi ha evocato i traumi del postcomunismo. «La democrazia deve arricchire l’arte di governo, non distruggerla, darsi rigore etico, dobbiamo batterci per la dignità e il rispetto degli altri, pensare alle condizioni gravi di anziani e malati».
Discorso accolto da una standing ovation. Richiami all’etica e ai diritti dei cittadini, niente sogni di potere. A 90 anni, re Michele amato dalla nuova Romania del boom economico ha ritrovato l’energia della disperazione che mostrò negli anni Trenta e Quaranta. Quando, giovane sovrano, tentò invano di opporsi alla dittatura fascistoide del maresciallo Antonescu, cercò di fermare la sua alleanza militare con Hitler. Quando nel 1944 destituì Antonescu, e ordinò alle forze armate reali di cambiare campo, di schierarsi con gli Alleati, di fermare con le armi la complicità con l’Olocausto.
«Novant’anni di vita sono tanti, in momenti felici e in molti istanti infelici ho cercato di servire la nazione romena», ha detto re Michele nel suo romeno elegante e letterario. Allusioni piene di understatement britannico. Quando le forze armate reali cacciarono la Wehrmacht insieme all’Armata rossa, Mosca instaurò il suo nuovo governo-fantoccio: Gheorghe Gheorghiu-Dej lo guidò. Con grande dignità Michele ieri non lo ha ricordato, ma nel 1947 i russi fecero irruzione a palazzo reale. «Abdichi, o uccideremo ostaggi: mille al minimo». Lui depose la corona per salvare i suoi sudditi, iniziò una vita in esilio tra la Svizzera e Londra. Partì con l’ultimo aereo, il “genocidio di classe” ordinato da Gheorghiu-Dej e da Stalin cominciò subito, come le Urla del silenzio della Cambogia dei Khmer rossi ma decenni prima. Quasi mezzo milione di docenti universitari, accademici, scienziati, imprenditori, alti funzionari di Stato sparirono nel Gulag. A Gheorghiu-Dej succedette Nicolae Ceausescu. Debuttò portando venti di libertà nelle arti e dissensi da Mosca, come il no all’invasione della Cecoslovacchia. Poi instaurò un culto della personalità sul modello nordcoreano, e come la dinastia dei Kim a Pyongyang ridusse alla fame un paese ricco di materie prime, petrolio, agricoltura con grandi chance, tradizioni industriali e universitarie. Ceausescu, che si faceva chiamare Conducator (Duce) come Antonescu, finì nel 1989, giustiziato dai rivoluzionari come Gheddafi. Michele l’esule era da tempo adulto: sua moglie Anna di Borbone gli dette cinque figlie, la primogenita Margarita fu la sua addetta Pr. Caduto Ceausescu Michele si prodigò per aiutare la nuova Romania ma il nuovo potere gli negò per anni il ritorno in patria. In primavera al Royal Wedding di William e Kate, e ieri al Parlamento di Bucarest, è risorta con lui quella contraddittoria ma simpatica vecchia Europa multiculturale di regnanti illuminati, che Stefan Zweig, Joseph Roth e Thomas Mann ci tramandarono, e scusate se è poco.
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