by Sergio Segio | 26 Ottobre 2011 7:14
NAPOLI. Centoundici giorni di sciopero senza stipendio per i lavoratori Fiat dello stabilimento Irisbus di Flumeri in Valle Ufita, nell’avellinese, e le brutte sorprese non sono ancora finite. Non è bastato tornare a lavorare dopo la cassa integrazione e trovare la fabbrica chiusa per l’improvvisa dismissione (duemila i posti a rischio con l’indotto), dover scongiurare il passaggio a una nuova proprietà che non dava garanzie occupazionali (Di Risio) e nemmeno di volere davvero continuare la produzione di autobus, unica azienda in Italia a farlo. Quando sembrava esserci una trattativa seria con un compratore che assicurava missione produttiva e livelli occupazionali, la Amsia Motors Limited, colosso cinese da oltre 20 miliardi di fatturato l’anno, la Fiat manda dieci lettere di contestazione, che potrebbero portare al licenziamento. «Una provocazione», secondo i lavoratori, che rischia di far salire di nuovo la tensione.
I fatti risalgono a venerdì 14 ottobre. L’azienda e i sindacati si incontrano all’Unione industriali, all’orizzonte c’è la possibilità di cedere lo stabilimento a un gruppo internazionale affidabile. Nella notte arrivano a Flumeri autisti e bisarche per caricare 21 autobus finiti, rimasti nello stabilimento, destinati al comune di Torino. Gli operai da mesi rifiutano di riconsegnarli prima che la vertenza venga risolta. Scoperto il blitz, sabato mattina scoppia la rivolta. I mezzi vengono fermati, i cancelli bloccati con barricate di auto e balle di fieno, quattro autisti restano all’interno della fabbrica fino a quando appare evidente che la sortita è fallita. Cinque giorni e la Fiat fa partire tre lettere di contestazione cautelare che, col passare dei giorni, diventano dieci in totale (due a rappresentanti sindacali Fiom e Uilm) per «aver bloccato il passo carraio dello stabilimento impedendo l’uscita di mezzi e persone».
Dario Meninno, rsu Fiom, è tranquillo: «I termini per licenziarci non ci sono. Naturalmente la Fiat, se vuole arrivare allo scontro, lo fa e poi ti costringe a ricorrere, cercando di sfiancarti. Credevano di liberarsi di noi in dieci giorni e invece i giorni sono diventati 110 e ancora non ci sono riusciti». Così il rischio è che riesploda la rabbia, allontanando sindacati e operai dal tavolo delle trattative. Ieri erano attesi gli emissari della Amsia Motors e i lavoratori, per dare una mano a mandare in porto l’affare, avevano liberato le due portinerie. A chiedere il ritiro delle lettere è il segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini: «Occorre far prevalere il senso di responsabilità e ricercare una soluzione alternativa alla cessazione delle attività . Chiediamo che anche il governo svolga fino in fondo il proprio ruolo, anche sul terreno della politica industriale».
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