Donne escluse dal lavoro «Perdiamo 7 punti di Pil»

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ROMA — Nel confronto internazionale la donna italiana, quanto a parità  con gli uomini, non fa una bella figura. «L’Italia nel divario di genere è tra i Paesi più arretrati». Nelle classifiche mondiali è al 74° posto su 134, «fanno meglio di noi tutti i Paesi europei, peggio solo il Giappone tra le maggiori economie industrializzate».
Esordisce così Fabrizio Saccomanni, direttore generale della Banca d’Italia aprendo i lavori del convegno su «Crescita economica, equità , uguaglianza: il ruolo delle donne» organizzato dalla Banca, prendendo spunto dal Rapporto 2012 «sull’uguaglianza di genere e sviluppo» elaborato dalla Banca Mondiale e da una serie di studi e ricerche condotti dagli economisti dell’Istituto.
Se si guarda ad altre voci del confronto col resto del mondo l’Italia, osserva ancora Saccomanni, «ha una posizione un poco migliore per quanto riguarda l’istruzione — 49° posto — e decisamente peggiore se si guarda alla partecipazione della donna all’economia». Che vuole dire lavoro e occupazione: nel 2010 era occupato il 46,1% delle donne tra 15 e 64 anni, contro il 67,7% degli uomini. «Il divario è particolarmente pronunciato nel Mezzogiorno, dove solo tre donne su 10 lavorano».
Il dato preoccupa se si guarda alla crescita che è bassa anche perché il paese non utilizza appieno le risorse dei giovani e delle donne. La Banca d’Italia ha calcolato che se il Paese riuscisse a centrare l’obiettivo di Lisbona dell’occupazione femminile al 60% il Prodotto interno lordo crescerebbe del 7%. Altri calcoli, come quello elaborato dalla Confartigianato basato sul Pil pro capite, indicano all’8,2% il progresso del Prodotto in caso di crescita dell’occupazione al 58,1%, cioè la media Ue nel primo trimestre del 2011.
Saccomanni illustra anche i dati forniti dalle indagini dell’Ufficio studi dell’Istituto di via Nazionale, in particolare quelli sulla presenza femminile nelle posizioni di vertice. Sul 40% di lavoratrici dipendenti nel settore privato tra i 15 e i 44 anni, le dirigenti sono il 24%; se si sale alla fascia d’età  tra 45 e 64 anni sono il 15% sul 36% di presenza femminile occupata. La situazione è migliore per le dirigenti donne nel settore pubblico dove rappresentano, a seconda dell’età , rispettivamente il 45% e il 36%.
A sottolineare l’importanza del lavoro femminile nel sostegno alla crescita economica è anche il ministro delle Pari opportunità , Mara Carfagna che, intervenendo al convegno, si sofferma in particolare sulle donne imprenditrici: «Le pari opportunità  passano anche dall’uguale possibilità  di accedere al credito e le donne, talvolta, sono costrette a fornire più garanzie rispetto agli uomini» dice ricordando che pure essendo le donne debitori più virtuosi degli uomini perché rimborsano con più puntualità , nell’accesso ai fidi bancari le microimprese al femminile «pagano un tasso di interesse dello 0,3% più alto rispetto a quelle che hanno un uomo come titolare». Ma, secondo il ministro, questo diverso trattamento «non trova la propria giustificazione nel fatto che le imprese gestite da donne siano più rischiose, perché falliscono di meno».
La partecipazione al mondo del lavoro sta migliorando ma «i mutamenti sono lenti, troppo lenti. Secondo alcune stime “eroiche” ci vorrebbero oltre 50 anni per arrivare a una pari presenza nelle posizioni apicali ad esempio nelle carriere accademiche. La scarsa valorizzazione delle donne è un vero e proprio spreco di talenti», dice, concludendo il convegno, Anna Maria Tarantola, vicedirettore generale della Banca d’Italia, prima donna ad entrare nel Direttorio. «Il reddito delle donne, afferma, contribuisce non solo al benessere familiare, ma anche alla massa fiscale e previdenziale, nonché alla domanda di servizi di cura alle persone che, per loro natura, sono radicati nel territorio. In questo modo l’occupazione femminile attiva un circolo virtuoso che genera, oltre al reddito, anche occupazione e imprenditoria aggiuntiva».


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