Domenica la telefonata di John Elkann «Rischio ricorsi Fiom, costretti a uscire»

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Lo schiaffo dell’uscita — peraltro ampiamente preannunciata — era (è) abbastanza traumatico di suo per non rispettare almeno la forma dei rapporti personali. Per quanto freddi possano essere (ormai da un po’). E dunque. Già  venerdì parte, da Torino in direzione Roma, una qualche, discreta forma di preavviso. Siamo però ancora ai livelli intermedi. Il vertice del Lingotto si muove domenica sera. Ed è John Elkann, non Sergio Marchionne, a chiamare Emma Marcegaglia.

C’è una chiara logica di ruoli, nella scelta. Elkann non è soltanto presidente della Fiat. È anche uno dei «vice» di Marcegaglia in Confindustria. Lascerà , naturalmente. E pure (non solo) per questo tocca a lui avvertire la numero uno degli imprenditori. Telefonata cordiale e soft, pare. Il Lingotto vuole tenersi le mani libere a livello nazionale, perché continua a vedere troppi spazi lasciati liberi all’antagonismo Fiom, ma manterrà  i rapporti con le associazioni territoriali (per l’assistenza tecnica, non per la rappresentanza). E questo a Marcegaglia (di nuovo: sembra) alla fine sta bene, non è il massimo ma non è una rottura totale con il sistema, «la Fiat è un grande gruppo internazionale e se preferisce gestire in proprio i rapporti sindacali lo capiamo, sappiamo benissimo che è quello che fanno già  le concorrenti tedesche».

Le scintille si accendono dalla mattina dopo. Ossia ieri. Se già  non fosse stato chiaro prima (ed è difficile crederlo), è la lettera di Marchionne a rendere esplicito quale sia il nodo vero. Quello di cui non si fidano, a Torino, è l’accordo interconfederale del 21 settembre. Sì, riconosce i contratti aziendali. Sì, era stata la Fiat a dare una scossa (con il primo «avviso di uscita» da Confindustria, in maggio) perché si andasse in quella direzione. E sì: con l’articolo 8 della manovra di agosto, voluto da Maurizio Sacconi, quelle norme hanno efficacia di legge, anche retroattiva (come il Lingotto chiedeva per mettere al riparo le intese di Pomigliano e Mirafiori). Poi però — è l’accusa — tra Confindustria e sindacati si è cercato di «sterilizzare» la norma. E sarà  vero, come scrive Marchionne a Marcegaglia, che per ora siamo a «dichiarazioni di volontà  di evitarne l’applicazione nella prassi quotidiana». Ma l’ombra è pesante ed è vero pure che «tutto ciò ha fortemente ridimensionato le aspettative sull’efficacia dell’articolo 8», che «si rischia quindi di snaturarne l’impianto e di limitare fortemente la flessibilità  gestionale», che «la Fiat non può permettersi di operare in Italia in un quadro di incertezze».

Sotto accusa — benché la lettera non lo dica — c’è una postilla aggiunta all’accordo interconfederale di settembre. Cinque righe appena, in cui l’articolo 8 è il protagonista-fantasma dietro l’affermazione dell’«autonoma determinazione delle parti». Cinque righe sufficienti, con ciò, a scatenare mal di pancia anche tra altri imprenditori, dividere i giuslavoristi sull’interpretazione, provocare una discreta «irritazione» di Sacconi verso la stessa Marcegaglia, accusata di aver «concesso» troppo alla Cgil.

È questo background, adesso, che ai vertici di Confindustria porta qualcuno a colorare di «politica» la mossa (comunque scontata) di Marchionne. Lui ribatte in pubblico e in privato. In pubblico: «C’è gente che cerca di trovare significati politici in tutto quello che facciamo, ma noi siamo lontanissimi da tutto questo», anzi, «per noi è la Confindustria “politica” che ha zero interesse: fateci fare gli industriali». In privato: non c’era, non c’è mai stata, la volontà  di dare schiaffi a nessuno, semplicemente «sono stato costretto a uscire» da Viale dell’Astronomia. Perché, ripete, in un quadro di relazioni sindacali così incerto, restando nella cornice nazionale «sarei stato sommerso dai ricorsi della Fiom». Che infatti ne ha già  preannunciati a valanga, «e questo mi indebolirebbe: non posso passare il tempo in Tribunale, ho un gruppo da gestire». Con libertà  di licenziare, come accusa qualcuno, visto che è questo il vero scontro sull’articolo 8? «Per piacere», rispondono dal Lingotto. Marchionne, nella sua lettera, assicura che «utilizzeremo la libertà  di azione applicando in modo rigoroso le nuove disposizioni legislative, senza toccare alcun diritto dei lavoratori». Dopodiché, sia lui sia Elkann hanno gioco facile — con chi insiste sul presunto «spot pro Sacconi» — a ricordare le richieste della Bce al governo. Quelle spedite a Roma prima, non dopo la manovra: «E con la flessibilità  in uscita inclusa».


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