by Sergio Segio | 6 Ottobre 2011 7:26
ROMA — Dopo il declassamento del rating nazionale, ieri — come conseguenza dei nuovi voti all’Italia — è toccato ai giudizi di enti locali e società . In serata Moody’s ha infatti rivisto al ribasso il rating di una trentina di enti locali (tra cui Lombardia, Toscana, Veneto, Piemonte, Milano, Venezia, Firenze e Napoli) e società pubbliche. Abbassato anche il giudizio su Eni, Enel, Poste e Terna, tutti e quattro con prospettive negative, mentre è stato confermato il rating di Generali e Allianz Spa, anche se con outlook negativo. Declassata poi Finmeccanica, ma con prospettive stabili. Giù i voti anche per Unicredit e Intesa.
A sentirle, sono instancabili. Le grandi agenzie di rating non si placano e, dopo la bocciatura data all’Italia, a enti locali e a società del Paese, fanno sapere che ci potrà essere altro e neanche tra troppo tempo. Ce ne sarà per tutti, dice da Londra Alastair Wilson, managing director di Moody’s che salva da possibili retrocessioni solo il club della tripla A, il rating più alto, riservato ai paesi del G7, esclusi Giappone e Italia, e in Europa — oltre che a Francia, Germania e Gran Bretagna — anche ad Austria, Finlandia, Paesi Bassi.
«Non esistono pressioni dirette per un calo di rating in questi paesi» dice Wilson, il quale invece annuncia probabili declassamenti per tutti gli altri nell’area dell’euro. Italia compresa, che pure avendo fatto già il triplo salto all’indietro, resta sotto osservazione. Mentre manca all’appello il verdetto della terza società di rating, dopo Standard & Poor’s e Moody’s, e cioè Ficth, che ancora non si è pronunciata e che comunque, bontà sua, potrebbe anche (ma è difficile) non toccare la sua valutazione di AA-.
Difficile districarsi tra numeri e lettere dell’alfabeto. Quello che appare certo è che l’Italia, pur non rischiando in alcun modo il default, resta nell’area dei mediocri, di quelli che potrebbero e dovrebbero fare di più per migliorare i voti e tornare nel club dei bravi. Riprendendosi i privilegi riservati ai migliori e cioè finanziarsi sul mercato spendendo meno. E per l’Italia che il prossimo anno dovrà collocare titoli a medio e lungo termine per oltre 200 miliardi di euro la cosa ha un peso. Non consola vedere il suo posto in classifica: in Europa solo pochi gradini, quelli della sufficienza, più su dei cosiddetti Pig, i paesi in difficoltà e cioè Irlanda, Portogallo e Grecia più Cipro ma sotto a tutti gli altri anche a Malta che supera l’Italia di un soffio. Hanno un rating più alto, la Slovenia, l’Estonia, la Slovacchia e in misura maggiore anche il Belgio e la Spagna che pure condivide con l’Italia la pressione dei mercati.
L’Unione Europea cerca di sdrammatizzare la portata della cattiva votazione di Moody’s che ieri ha declassato anche il rating della Regione Sicilia ed anche i mercati e la Borsa, nello scenario complicato e preoccupante dominato dall’incertezza sulle sorti della Grecia, quasi ignorano l’accaduto. Ma restano i tre rischi che corre l’Italia messi in luce dall’Agenzia: nella capacità di raccogliere fondi a medio e lungo termine sul mercato; nel rallentamento della crescita economica «provocati da carenze strutturali macroeconomiche e da prospettive globali sempre più deboli»; nel centrare nei tempi previsti gli obiettivi di riequilibrio del bilancio e di riduzione del debito, «a causa dell’incertezza politica ed economica».
«Ce lo aspettavamo. Certamente ha influito la scarsa crescita italiana, che è un problema serio», commenta il ministro degli Esteri, Franco Frattini mentre l’opposizione attacca il governo: «Tre gradini in meno sono una mazzata. A questo punto le favole non bastano più», commenta il leader del Pd Pierluigi Bersani. Secondo il quale l’Italia «sta certamente meglio di quanto non dica il giudizio di Moody’s, ma siamo davanti a rischi di scivolamento ulteriore se non introduciamo un elemento di novità o di cambiamento».
«Il downgrading di Moody’s dice che il Paese è solido, ma la politica è incerta» insiste la presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia mentre il presidente di Abi, Giuseppe Mussari ritiene «ancora più necessaria l’attuazione delle misure per la crescita». «È l’ultima goccia in un vaso ormai pieno», rileva il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini.
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