by Sergio Segio | 12 Ottobre 2011 7:24
Un Trichet così non lo aveva visto probabilmente nessuno. Ultimativo e preoccupato. Il presidente della Banca centrale europea (Bce) ha parlato ieri in qualità di responsabile dello European Systemic Risk Board, creato per scongiurare il ripetersi del crack del 2008. Ma quel che ha detto, in sintesi, significa che siamo di nuovo davanti a quel baratro.«L’Europa è l’epicentro della crisi, e nelle ultime tre settimane la situazione è peggiorata». Soprattutto, ha colpito l’enfasi sui tempi stretti per reagire: «il rinvio del vertice Ue è utile se la Ue sarà finalmente in grado di trovare risposte chiare ai due problemi urgenti: la crisi dei debiti e la ricapitalizzazione delle banche». Dettaglio: «su cui abbiamo i minuti contati».
Cos’è successo nelle ultime settimane per rendere la situazione così tragica? «lo stress sovrano dalle piccole economie è passato a paesi Ue più importanti», ha spiegato; «e il rischio contagio si è esteso anche a usa e Giappone». Questo rende l’attuale crisi – parole sue – «sistemica». Potenzialmente un disastro.
Ma Spagna e Italia sono in sofferenza da luglio e agosto, non proprio ieri mattina. E la Bce è intervenuta quasi ogni giorno con «misure non convenzionali», tipo l’acquisto di Btp e Bonos per sostenerne il prezzo e facilitare il collocamento di nuove emissioni sostitutive.
Ripetiamo perciò la domanda: che altro è successo? Una prima risposta viene dall’ammissione che «l’accordo di luglio» per salvare la Grecia, facendo pagare ai «privati» – ossia le banche europee – una perdita del 21%. Ora il presidente dell’Eurogruppo, Juncker, (vedi sotto) chiarisce che non potrà essere meno del 50, forse del 60%. Questo significa perdite enormi, che rischiano di mettere al tappeto diversi istituti importanti (tedeschi e francesi, per dirne due).
Si spiega allora la fretta e l’apparente solidità granitica del vertice a due tra Sarkozy e Merkel – domenica – che ha avuto un solo punto pubblico chiaro: «ricapitalizzeremo le banche a qualsiasi prezzo». Le nostre, era sottinteso. La sortita di Trichet appare dunque in stretta continuità con quel vertice e con la preoccupazione che non si riesca a sincronizzare le tappe di un default pilotato della Grecia con il rafforzamento patrimoniale delle banche.
Del resto, basta guardarsi intorno. La franco-belga Dexia è stata «salvata» una seconda volta, dopo appena tre anni, grazie a uno «spacchettamento» che ha restituito a ogni paese (Lussemburgo compreso) la propria fetta e a proprie spese. La prima banca austriaca – Erste Group – destinataria nel 2008 di imponenti aiuti pubblici, chiuderà l’anno corrente con perdite consistenti. Colpa degli investimenti nell’Est europeo, a cominciare da Romania e Ungheria.
Particolarmente interessante il caso di Budapest, dove il governo ha dovuto fare una legge per consentire ai mutuatari – che avevano sottoscritto contratti in euro o franchi svizzeri – a pagare le rate in fiorini, a un cambio fisso inferiore del 25% a quello ufficiale.
Contemporaneamente, i regolatori bancari europei stanno chiedendo agli istituti di elevare i «requisiti di capitale» almeno al 7%. Significa incrementare la liquidità posta a riserva delle operazioni, ossia sottrarre molto al circolante proprio mentre i prestiti tra le banche sono di fatto bloccati (come nel 2008, ricordiamo) e il tasso overnight fa segnare ogni giorno nuovi record. Un segnale pessimo.
Quanto ai rischi di contagio, vale l’osservazione di Trichet: «l’alta interconnessione del sistema finanziario della Ue ha favorito la sua rapida diffusione», fino a «minacciare l’intera stabilità finanziaria» con un «impatto negativo sull’economia dell’Europa e oltre».
Una seconda indicazione viene dalla Commissione Ue (il «governo» continentale). Per abbattere la barriera del 100% del debito rispetto al Pil (vale per Italia, Belgio, ecc), «servono misure di austerità permanenti». La spiegazione è sempre la solita («una radicale correzione dei conti pubblici a lungo termine per prevenire i problemi legati all’invecchiamento della popolazione e la conseguente crescita dei costi sociali»), ma la causa viene riconosciuta nei «rischi aumentati per la crisi irrisolta dell’eurozona e delle sue ripercussioni sui mercati finanziari e sul rallentamento dell’economia globale». Il modello sociale europeo va insomma sacrificato non perché sia intrinsecamente «troppo costoso», ma perché «il sistema finanziario globale» sta crollando per conto suo. Qui dunque sembra decisamente opportuno porre le domande che il 15 ottobre verranno urlate nelle piazze di mezzo mondo: «di chi è questa crisi?» e «di chi è questo debito?»
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