by Sergio Segio | 15 Ottobre 2011 6:44
Ha fatto la cresta sulle note spese come ha fatto la cresta sulle notizie. Finisce con una richiesta di rinvio a giudizio per peculato il caso Minzolini, una delle disavventure più tristi del giornalismo. E ieri spiaceva vederlo ‘peculare’ sulla vittoria di Berlusconi celebrata come un trionfo ai Fori Imperiali.
A riprova che è doppio il peculato del quale il direttore del Tg1 è chiamato a rispondere. Anche le notizie infatti sono un bene collettivo come i soldi della carta di credito Rai. E forse è persino “più peculato”, nel senso di uso privato di capitale pubblico, annunziare la falsa assoluzione dell’avvocato Mills che pagarsi un week end all’estero con i soldi del canone.
È dunque diventato un idealtipo negativo Minzolini. Ha definitivamente perso il diritto a quel soprannome – ‘squalo’ – che si era guadagnato quando da cronista era invidiato e temuto dai colleghi più giovani e dai politici. Ormai si dice «non fare il Minzolini» e cioè non trafficare, non ‘peculare’ con l’informazione. Giovedì scorso per esempio la bocciatura per un voto del rendiconto generale dello Stato è stata imputata dal Tg1 non alle assenze dei deputati della maggioranza, tra i quali Bossi, Tremonti e Scilipoti, ma a Gianfranco Fini accusato di «attaccarsi a cavilli e regolamenti davanti a un danno all’Italia di 360 miliardi».
Una volta gli idealtipi negativi nascevano dalla penna dei poeti e dei romanzieri. Tersite, per esempio, e don Abbondio… Invece Minzolini è l’archetipo stilizzato non dalla letteratura e neppure dall’ideologia ma dal degrado di un degrado. E’ infatti la lottizzazione che premia gli scarti, il pervertimento della tradizionale faziosità del servizio pubblico. Con lui il direttore del Tg1 non è come una volta il più presentabile dei fedelissimi, il generale dell’alta strategia mediatica, ma l’impresentabile sergente di risulta, quello che abusa del credito e fa da pappagallo a Berlusconi: «Il governo ha varato una manovra di dimensioni gigantesche per salvare il paese». Ovviamente «è in corso una lapidazione mediatica per fare cadere il governo». E «bisogna immediatamente fermare le intercettazioni». Minzolini ha tolto dai titoli di testa il clamoroso sì della Camera all’arresto del deputato Alfonso Papa. Poi, come il bue che dà del cornuto all’asino, ha definito «presidente di parte» quel galantuomo di Sergio Zavoli, raro concentrato di virtù di garanzia e di vigilanza giuridica e culturale.
E sempre prova ad abbellire il premier, a fargli la cosmesi, a presentarlo con la luce giusta seguendo il modello per lui inarrivabile di Alfonso Signorini del quale sogna di replicare in video le celebrazione patinate di casa Berlusconi, famiglia allargata sino ai Tarantini. E difatti Minzolini con le imbeccate dell’avvocato ha persino dedicato un suo editoriale ai dettagli processuali: «Perché i pm non hanno depositato l’unica intercettazione dove il premier scagiona Tarantini?». È l’altra faccia della strategia di Signorini che ha messo in scena il family day dei Tarantini liberi e a casa, più innamorati che mai, più innocenti che mai.
È vero che Berlusconi e i suoi uomini stanno mandando in malora l’intera Raiuno, che è stata il lungo paesaggio dell’identità italiana. Ma perdere un milione di spettatori e fallire con il Tg1 non è la stessa cosa che capitolare con la trasmissione di Sgarbi o di Pino Insegno. Nel “caso Minzolini” infatti c’è la dissipazione di un codice e la corruzione del mestiere di direttore del Tg1 che per quanto fazioso garantiva comunque il rispetto sostanziale delle notizie, l’equilibro formale, la buona educazione, la misura. Minzolini ha sostituito il panino, la velina e il pastone con i comizi scritti e recitati contro i giudici, contro i giornali e ha umiliato e abbrutito il giornalismo di costume, la cosiddetta leggerezza, il servizio d’evasione che è diventato cloroformio, distrazione dalla verità . Resteranno indimenticabili le riprese sul salvagente, sull’adipe in spiaggia, sul ritorno del bikini, sull’eterno fascino del visone. E fu un capolavoro quel servizio di Francesca Grimaldi che magnificava il frangivento della nuova Ferrari decappottabile (solo 280mila euro) «che ha la virtù di proteggere la messa in piega delle signore». Il critico televisivo Antonio Dipollina registra come «migliore» il seguente scoop di Francesco Giorgino: «C’è un vero problema per chi vuole recuperare le palline che finiscono nel laghetto di un golf club in Australia: ci sono gli squali».
Eppure ancora ieri sera Minzolini ricorreva all’appesantimento dei toni di chi vuol cingersi la testa con l’aureola dell’eroismo civile ed esalta lo stato di sofferenza nel quale sarebbe costretto a vivere e ad operare. E tanto più va male a Berlusconi tanto più cresce il numero degli editoriali e si intensifica la loro sguaiataggine. Sempre più Minzolini usa la carta di credito di direttore del tg per fare contrabbando di informazione, e nel suo telegiornale caccia o emargina gli infedeli, ne ha fatto una ridotta, un bunker dell’oltranzismo, del “boia chi molla”, come fosse Il Giornale di famiglia o Libero con i quali fa un pesantissimo gioco di squadra. È un soldato di Salò pagato dallo Stato, è l’ultimo dei mohicani.
In fondo il peculato di cui risponderà in tribunale è un solo un pasticcio malandrino: ha restituito i soldi che non doveva spendere, probabilmente ha commesso il reato con la complicità di qualcuno che gli stava sopra. Ma quel che di sicuro non potrà più restituire è la verità che ha truffato agli italiani. E mentre ieri sera dava lezioni di imparzialità a Fini e a tutti quanti dalla sua cattedra ormai sfregiata, con quella solita decorativa Treccani che fa il paio con le automobili esagerate e le signore scosciate accanto alle quali si fa fotografare, mentre ieri sera si esibiva l’ex squalo Minzolini somigliava alla pubblicità shock contro l’alcolismo dei guidatori. Ecco cosa ti aspetta se ti comporti così… «come Minzolini» appunto, il giornalista che non ha perso la dignità del nome ma del soprannome.
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