Dalla consulenza al marketing il terziario resta piccolo e locale

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E’ un terziario piccolo fatto di aziende per lo più personali che per trovare clienti si basa sul passaparola e fatica a delineare il proprio futuro. Tutti sperano nei nuovi servizi ma pochi sanno cosa siano e come trasformarli in un business plan vincente. La fondazione Nord Est diretta da Daniele Marini ha ultimato nei giorni scorsi la prima ricerca/sondaggio sulle aziende di marketing, comunicazione e consulenza fiscale-amministrativa. Sono state prese in esame più di 800 imprese (per due terzi del Nord e 127 nella sola Milano) di ricerche di mercato, sondaggi, call center, pubbliche relazioni, ideazione di campagne pubblicitarie, servizi legali e notarili, consulenza amministrativa, fiscale e di gestione delle risorse umane. La ricerca fa parte del piano di lavoro dell’Osservatorio sul terziario avanzato realizzato dalla Fondazione e promosso dal gruppo Intesa San Paolo ed è utilissima per capire le prospettive di un mondo a cui tutti guardiamo per innovare.

Cominciamo dalle dimensioni. Due terzi delle aziende di marketing, comunicazione e consulenza hanno massimo due addetti, solo il 10,8 ne ha più di sei. Una porzione ristretta, il 14%, fa parte di un gruppo più grande e così il 56% ha fatto registrare nel 2010 un fatturato inferiore a 100 mila euro. E’ chiaro che un «terziario personale» con strutture così esili risenta innanzitutto di due fattori esterni negativi, l’allungamento dei tempi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazione (ma anche dei privati) e un rapporto difficile con le banche quando chiedono un prestito. Gli istituti di credito continuano a riservare un’attenzione eccessiva alla solidità  patrimoniale e ciò rappresenta un freno agli affidamenti. Secondo i dati elaborati dalla Fondazione Nord Est il piccolo terziario comunque ha saputo reagire alla crisi. Negli ultimi tre anni il 27,7% delle aziende ha aumentato il fatturato, il 36,7% ha tenuto le posizioni mentre il 35,6% ha visto diminuire il suo giro d’affari. Ad onta di tutti i mutamenti del mercato e dell’impetuoso sviluppo di Internet il principale canale di sviluppo delle imprese di servizi non è Google bensì il passaparola dei clienti storici. E’ utilizzato dal 43,5% degli interpellati contro solo l’11 che si promuove sul web.

Lo sviluppo affidato alle referenze dei clienti mette al centro la necessità  di aver una buona reputazione e quindi è di per sé un incentivo alla qualità . Il guaio però è che finisce per circoscrivere il bacino di utenza alla provincia o al massimo alla regione. Solo il 2,6% (!) delle imprese sondate gode di una forte proiezione internazionale. Con una bassa propensione all’export la maggiore preoccupazione delle nostre aziende terziarie è di tipo difensivo e riguarda l’internalizzazione dei servizi da parte delle imprese-clienti, il 37,2% ne fa menzione.

Se sono chiari i limiti strutturali del terziario personale una nota di ottimismo viene da altri dati. «Chi più si apre più va avanti — commenta Gianluca Toschi. Il ricercatore che ha condotto l’indagine —. Tra chi aumenta il fatturato una buona fetta lo deve alla crescita delle collaborazioni con altre imprese o studi. E chi investe di più tiene meglio la rotta». Ma se i comportamenti «all’attacco» risultano premianti, per ora gli imprenditori del settore restano fortemente individualisti, il 38,8% è iscritto alle associazioni di categoria (e non è poco) ma non si ha notizia di reti di imprese costruite nel terziario avanzato. Ci sono solo quelle che Toschi definisce «reti deboli», alleanze e collaborazioni non formalizzate. Si paga in questo modo la tradizionale idiosincrasia dei professionisti italiani verso la cultura d’impresa. Culturalmente il piccolo terziario sembra rimasto come spiazzato dalla nascita e dallo sviluppo dei social network che comunque stanno cambiando molti aspetti dell’approccio alla professione e delle modalità  di collaborazione tra singoli.

Vista la dimensione e le caratteristiche del mercato italiano del marketing, della consulenza e della comunicazione è interessante ragionare sulle prospettive. Una buona fetta dei soggetti intervistati individua nei «nuovi servizi» la chiave di volta della loro attività  (e della loro crescita) nei prossimi anni, l’impressione però è che si spinga il cuore oltre l’ostacolo. Non è così chiaro a cosa corrispondano segmento per segmento i nuovi servizi, dalle risposte emerge che il «nuovo» viene identificato con una maggiore aderenza alle esigenze dei clienti, con una tendenza che potremmo definire alla sartorialità , a cucire soluzioni ad hoc. Del resto già  oggi il 71% dei servizi venduti sono personalizzati per ciascun cliente. La sartorialità  per essere premiante, per rappresentare davvero un salto vincente (e non solo una strategia difensiva), deve però essere premiata dalla possibilità  di praticare prezzi più remunerativi anche per alimentare le risorse dedicate a ingrandirsi e a fare gli investimenti giusti. Almeno per oggi però il mercato non riconosce questo bonus e così al piccolo terziario manca la benzina per crescere. «A meno che non si acceleri l’integrazione con il manifatturiero – propone Daniele Marini – L’industria ha bisogno di competenze per innovare e le può trovare proprio nel nostro pur piccolo terziario avanzato».


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