Correnti e mini partiti, la frantumazione del Pdl

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ROMA — Associazioni, fondazioni, gruppi, movimenti, think tank. Aggregazioni che nascono e muoiono nel tempo di un caffè alla buvette, per poi magari risorgere sotto altre vesti, cambiando nomi, simbolo, sito. Addensandosi in agglomerati solidi, dotati di sede, giornale e newsletter, oppure restando allo stato gassoso, entità  impalpabili e astratte, in sonno ma pronte a rivendicare affinità  e divergenze, strapuntini e dirigenze. In una parola (ancora tabù) «correnti». Volendo, nel solo Pdl, si arriva a superare la ragguardevole cifra di venti, ma dettagliando si arriva agevolmente a trenta.

«Non ci si capisce più niente — ammette Gianfranco Rotondi, democristiano doc —. Mentre stiamo parlando ora, forse è cambiato tutto». Lui nel 1975 si iscrisse alla Dc. Trentasei anni dopo, presidia con fermezza la stessa sigla: «Ho la partita Iva del partito del ’43: sono l’erede legittimo dell’ultimo segretario Martinazzoli. Rappresento la continuità  assoluta, come il repubblicano Francesco Nucara. Certo, più che una componente, noi siamo uno stemma di famiglia: un club ristretto, velleitario, snob».

Rotondi ha visto il Pdl cambiare volto in pochi mesi: «Quando nacque, c’erano solo Forza Italia, An, Dc e Nuovo Psi di Caldoro, al quale si aggiunse Alessandra Mussolini». Ora è una girandola di gruppi e gruppuscoli. Che si aggregano non più in base a vecchi schemi ideologici, ma su più laiche fedeltà  personali o su (talvolta impalpabili) affinità  di pensiero. Una volta erano tutti berlusconiani o quasi, ora è meglio distinguere. Ci sono i falchi, come Daniela Santanché, e i sodali di una vita, come Paolo Bonaiuti e Gianni Letta. Poi ci sono i berlusconiani doc (come Mariastella Gelmini, Sandro Bondi, Mara Carfagna e Franco Frattini) confluiti in Liberamente, associazione nata «per unire e per costruire». Varata sul lago di Garda nel giugno del 2010, da un po’ è sparita all’orizzonte. Del resto, sulla tolda di comando ora siede Angelino Alfano, che ha anche lui i suoi fedelissimi: da Maurizio Lupi a Raffaele Fitto, dalla movimentista Michela Vittoria Brambilla a Gaetano Quagliariello.

Naturalmente la parte più fluida della galassia Pdl è quella in fermento, che aspetta o si augura il tramonto di Berlusconi. A sollecitare il Cavaliere — chiedendo scosse, discontinuità  e colpi d’ala —, sono soprattutto gli «scajoliani». La loro consistenza numerica è oggetto di controversia, ma è di gran lunga il gruppo più trendy del momento: «Siamo vicini a Scajola da anni — racconta Salvatore Cicu, che lo conobbe nel ’96 —. E gli siamo rimasti vicini anche nei momenti difficili. Con Claudio abbiamo costruito il partito, aiutando Berlusconi nella traversata del deserto». Responsabile del tesseramento per anni, Cicu conosce bene il carattere di Scajola: «Quando gli portavo un progetto, se andava bene mi urlava che era una porcata e lo lanciava in aria. Ho imparato molto da lui».

Anche Giulio Tremonti ha il suo gruppo antagonista. Gli anti tremontiani fanno capo al gigantesco deputato piemontese Guido Crosetto e a Giorgio Stracquadanio: insieme a una trentina di deputati, hanno appena fondato Controcorrente. Spiega Stracquadanio: «Il nostro collante è un liberalismo che contrasti il feroce statalismo di questi ultimi anni».

Il fondatore del Predellino interpreta la scomposizione del Pdl come conseguenza della «fine del ciclo berlusconiano»: «Lo avete sentito Berlusconi? Ormai si è rotto le scatole e a ragione. Non ha ancora annunciato che non si ricandiderà , ma ormai manifesta palese insofferenza. Se gli dovessi dare un consiglio, gli direi: lascia perdere, non ti ricandidare».

Nel frattempo, il Pdl rischia di diventare una matrioska. E di abbandonarsi a «un sentimento di nostalgia», come recitava poeticamente ieri in Aula l’ex liberale Mario Pepe. Dc e An sono alle porte. Ignazio La Russa, già  Msi poi Alleanza nazionale e uomo di fiducia di Gianfranco Fini, ha appena riaperto la storica sede missina di via Mancini, a Roma: «Io allora ero un anarcoide — ricorda Stracquadanio — e gridavo “Mancini Mancini, covo di assassini”». Altri tempi. Anche il duo Scajola-Pisanu è accreditato (dai nemici) di un ritorno al passato, con presunte nostalgie per la Balena Bianca e per i complotti dorotei.

Tra malpancisti e cortigiani c’è una terza categoria, temporaneamente alloggiata nel tinello dei «responsabili». Già  stampelle della maggioranza, i 29 deputati si sono ribattezzati di recente «Popolo e territorio». «Popolo» composto da molte tribù. Oltre a Pid, Adc e Azione popolare ci sono i partiti meridionalisti, vero rompicapo per i cronisti: Io Sud (Adriana Poli Bortone), Noi Sud (Arturo Iannaccone e Elio Belcastro) e Forza Sud (Gianfranco Micciché). Leggendo un post di qualche giorno fa del blog di Micciché, si scopre che i tre partiti ormai sono uno: «Dal 5 settembre nasce Grande Sud». Forse un omaggio a Eugenio Bennato, comunque un progetto con l’ambizioso obiettivo di «diventare la fucina del nuovo meridionalismo e il cenacolo dei giovani illuminati». La Poli Bortone spiega così questa furia onomastica e aggregatoria, imperniata sul Sud: «In questo deserto di valori e di ideologie, la gente vuole riconoscersi in un’identità  territoriale». Niente ideologie, ma richieste chiare: «Ma lo sa che nella mia città , Lecce — spiega la Poli Bortone —, hanno abolito i vagoni letto? Non siamo neanche più degni di dormire nei treni, noi meridionali. E poi hanno soppresso la tratta Bari-Spinazzola».

Tra i «responsabili» milita Domenico Scilipoti, già  Idv e fondatore del Movimento di responsabilità  nazionale. Micro partito che sul sito si dilunga sull’«amalgama dentale», ma che è pronto a debuttare sulla scena nazionale: il 21 ottobre si terrà  il primo congresso, al grido di «cristianità , Stato e famiglia».


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