Contro la caccia al profitto

by Sergio Segio | 11 Ottobre 2011 13:03

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Mentre si diffonde sempre di più il piacere delle verdure di stagione a chilometri zero e aumentano i giovani che amano sporcarsi le mani con la terra, sembra crudele richiamare l’attenzione sui problemi del sistema alimentare. Ma bisogna temperare l’ottimismo della volontà  con il pessimismo della ragione. Nonostante le conquiste del movimento per il cibo degli ultimi dieci anni, è difficile allontanare la sensazione che il pessimismo sia più forte.

Per ogni orto biologico alla Casa Bianca c’è un responsabile dell’ufficio del rappresentante per il commercio statunitense che viene dall’industria dei pesticidi. Sasha e Malia Obama mangeranno anche alimenti sani, ma il sud del mondo è ancora fermo ai prodotti chimici. Anche se i raccolti sono abbondanti, milioni di persone soffrono ancora la fame. La causa non è la crescita demografica: si produce cibo a sufficienza per tutti. Ma l’economia della produzione agricola tende a dimenticare le esigenze dell’alimentazione.

Innanzitutto aumenta la percentuale di colture destinate non all’alimentazione umana o animale, ma alla produzione di biocarburanti per far circolare le automobili. Più di un decimo della produzione mondiale di cerea­li secondari (diversi dal grano e dal riso) è usata per produrre combustibili e, secondo le stime dell’Ocse, entro i prossimi dieci anni un terzo delle coltivazioni di canna da zucchero sarà  trasformato in biocarburanti invece che in dolcificanti.

Ma c’è solo una cosa peggiore del bruciare il cibo: specularci sopra. Come fa notare l’economista Jayati Ghosh, una delle conseguenze del Commodity futures modernization act (Cfma), una legge statunitense del 2000 che deregolamenta i prodotti finanziari, è che alla fine del 2007 gli scambi di future sulle materie prime hanno raggiunto i novemila miliardi di dollari. C’è un vivo dibattito tra gli economisti sulla possibilità  che questo possa aver provocato un aumento dei prezzi o fluttuazioni troppo ampie.

Ma una cosa su cui tutti sono d’accordo è che, se i prodotti agricoli sono sempre di più oggetto di strumenti finanziari senza regole, i prezzi alimentari saranno sempre più legati agli umori delle borse. A questo punto il contenuto (quando c’è) delle ciotole dei più poveri dipenderà  non tanto dalla reale disponibilità  di cibo, ma dal prezzo del petrolio.

La buona notizia
Il movimento per il cibo lotta contro i cambiamenti climatici, le speculazioni sui terreni e i biocarburanti. Nonostante la crisi che stiamo vivendo, i capitalisti sembrano sempre più sfrenati nella loro ricerca del profitto e hanno trovato nuovi modi per speculare sul nostro pane quotidiano. Per avere un sistema alimentare autenticamente democratico bisogna riscrivere le regole del sistema finanziario. E per fare questo è necessario identificare e affrontare il capitalismo come il vero nemico della sovranità  alimentare.

Naturalmente una posizione ragionevole serve a poco se le idee non si trasformano in realtà . Servono soluzioni concrete per coltivare, mangiare e condividere il cibo in modo da migliorare la vita delle persone. E forse il principale motivo di ottimismo è che, da Detroit al Malawi, un numero crescente di movimenti sta sperimentando nuovi modi per raggiungere questo obiettivo.

Traduzione di Enrico Del Sero.

Internazionale, numero 918, 7 ottobre 2011

Raj Patel è un economista e giornalista britannico. Ha scritto I padroni del cibo.

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