Caso escort, la verità  di Scelsi “Laudati puntò il dito su D’Alema e frenò le indagini sul Cavaliere”

by Sergio Segio | 28 Ottobre 2011 7:31

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ROMA – «Gli dissi: guarda, Antonio, non te ne venire con questi trucchetti, se anche la D’Addario ha registrato l’interrogatorio, non mi cambia la vita». Antonio è Antonio Laudati, l’attuale procuratore di Bari. Chi gli parla, e ne riferisce il colloquio al Csm, è l’ex pm Pino Scelsi, il magistrato che ha indagato, finché ha potuto, sulle escort e su Berlusconi. Uno Scelsi su tutte le furie racconta un suo incontro di due anni prima nella stanza di Laudati, appena diventato capo dell’ufficio, il 9 settembre 2009. Toni drammatici. «Eravamo io, Laudati, la Pontassuglia. Lui mi fece vedere il filmino e mi fece una domanda trabocchetto, se si può dire. Mi fece vedere questo famoso braccio destro dell’onorevole D’Alema, da me fatto filmare con Tarantini (era l’imprenditore De Santis, ndr.). Mi disse: questo lo conosci? No, dissi, non l’ho mai visto».
Lunedì 19 settembre, pieno pomeriggio, Scelsi è lì, nella grande sala circolare di palazzo dei Marescialli, dove si apre, con due mesi di ritardo, il “processo” contro Laudati che lo stesso Scelsi ha fatto scoppiare. Lui racconta: «Un’altra volta, eravamo da soli, lui disse: la D’Addario ha registrato l’interrogatorio che le hai fatto, con il tono tipo: il tuo compare ha confessato. Parla anche tu». Qui Scelsi lo attacca. È passato tanto tempo, ma la voce gli trema. Racconta di avergli chiesto a bruciapelo: «Ma tu come fai a trovarti il filmino? Potevi chiederlo a me. Com’è che te lo trovi?». Laudati ribatte: «Guarda, se ti metti su questa strada, io vado al Consiglio, andiamo al Consiglio, e vinco io». E Scelsi di rimando: «Gli dissi “no, qua non vinci tu, non vinco io, perdiamo tutti”. Così gli dissi e questa è la ragione per cui sono stato a lungo tranquillo, ho cercato di dare un contributo pure in queste condizioni nelle quali mi sentivo veramente sotto pressione».
Una pagina drammatica per la magistratura italiana, uno scontro durissimo. Che la prossima settimana arriva alla boa della “sentenza” iniziale, il verdetto della prima commissione del Csm cui seguirà  quello definitivo del plenum. Un’istruttoria difficile, in cui sono sfilati i magistrati di Bari e gli ufficiali delle Fiamme gialle. Repubblica ha potuto fare il punto sulle testimonianze più forti. Quella del maggiore Nicola Sportelli, il capo della squadretta della Finanza che rispondeva solo a Laudati e “indagava” sulle indagini dei pm; quella del capo dei gip Antonio Lo Vecchio, che conferma malvolentieri le ingerenze di Laudati; quella del colonnello Gianluigi D’Alfonso, comandante del nucleo di polizia giudiziaria, che si chiude in imbarazzanti, ma comunque rivelatori «non ricordo». Testimonianze che fanno pendere la bilancia a favore di Scelsi e spingono molti consiglieri del Csm – il relatore Guido Calvi, Paolo Carfì, Riccardo Fuzio, Antonello Racanelli – a porre interrogativi stringenti, da vero e proprio tribunale.
“È SCATTATA LA TRAPPOLA”
Scelsi, per 70, lunghe, pagine, conferma il suo atto d’accusa che a luglio si era tradotto nell’esposto al Csm. Aggiunge novità , come la teoria di Laudati sull’origine del caso escort, che lui stesso espone a numerosi magistrati baresi. «D’Alema ha una serie di amici in Puglia che a loro volta sono amici di Tarantini. Non riuscendo con le armi della politica a sconfiggere la maggioranza di segno opposto ha pensato bene di finanziare Tarantini perché reclutasse, addestrasse, inserisse la D’Addario nelle residenze dei suoi nemici politici onde poter poi fare emergere questa come un’attività  scandalosa e quindi portare alle dimissioni del suo nemico politico. Per fare questo, mi diceva e diceva ai colleghi, è stata reclutata Patrizia D’Addario, è stata portata da Scelsi, poi come per incanto sono uscite le copie della registrazioni che aveva fatto la D’Addario, la D’Addario ha fatto la dichiarazione, l’ex collega amico di Scelsi, ora politico (si riferisce al senatore Alberto Maritati, ndr.), è venuto per assicurarsi dell’esistenza del materiale investigativo, quindi è scattata la trappola».
Laudati “commissaria” Scelsi con due pm, Pontassuglia e Angelillis, crea la squadretta della Finanza, che su carta intestata si firma ufficialmente «l’aliquota Gdf», arrivano ufficiali da fuori come Sportelli reclutato a Napoli. Parte la campagna di Laudati contro le fughe di notizie, tutto si accentra nella Finanza. Scelsi, messo sotto pressione, rinuncia pure al computer su cui poteva sentire in diretta le intercettazioni. Quando lo chiede di nuovo non glielo ridanno più. Il “metodo” Laudati prende piede e dilaga. Lui, protagonista della famosa prima riunione di giugno nella caserma della Gdf dove dà  le direttive e si presenta come l’inviato del Guardasigilli Alfano, con cui era al ministero, con l’aliquota accentra tutto nelle sue mani e quando può intimidisce pure i gip. Sono questi i suoi punti deboli che potrebbero convincere il Csm a chiederne il trasferimento.
“ELIMINARE FUGHE DI NOTIZIE”
È il 13 ottobre quando al Csm arriva il colonnello D’Alfonso. Lo interrogano sulla riunione di giugno. Lui riferisce che Laudati, come aveva denunciato Scelsi, si fa portavoce delle preoccupazioni per le fughe di notizie. Dichiara: «Fece presente che dall’esterno aveva registrato che l’indagine presentava come criticità  le fughe. Disse che era importante cercare di eliminare questa problematica». Calvi gli chiede se in quella riunione si parlò «di costruire un organismo specifico per rafforzare le indagini». Il colonnello conferma che «fu chiesto anche l’intervento del generale Bardi (comandante interregionale, ndr.) per chiedere il potenziamento del numero degli investigatori». Calvi, noto avvocato romano, arriva al punto dolente: «Laudati disse che era stato mandato da qualcuno?». D’Alfonso: «No, questo non lo ricordo, non ricordo che disse che era stato mandato da qualcuno». Calvi: «Lei non lo ricorda o lo esclude?». Il colonnello: «Al momento non sono in grado di avere questa percezione che lui mi disse: mi manda una persona specifica».
“PRIORITà€ ALLE INCHIESTE ASL”
Ancora il 13 ottobre. Va in un crescendo l’audizione del maggiore Sportelli, l’anima della sqradretta di Laudati. Dal suo verbale una frase va estrapolata subito, per la sua estrema rilevanza. Egli dice testualmente: «Sugli unici due procedimenti penali che mi è stato detto di portare avanti, cioè l’Asl di Bari e l’Asl di Lecce, con lui mi confrontavo». Dunque, questa era la linea di Laudati, mandare avanti quelle indagini e non certo il caso escort. Era la linea che l’attuale comandante del nucleo di polizia giudiziaria Antonio Quintavalle un giorno si lascia scappare davanti ai pm. «Ma non si era detto di lasciarla indietro?». Detto ovviamente dell’inchiesta Berlusconi-Tarantini. Ora arriva un’autorevole conferma. In un verbale, quello di Sportelli, che ha rappresentato una svolta nella sfilata delle audizioni. Dice Sportelli: «Laudati mi disse al primo incontro che prima di tutto il nostro compito era di controllare, guardare tutti i fascicoli processuali che riguardavano la sanità . Erano circa 15». La squadretta li passa al setaccio. Alla fine fa una relazione. «Calcoli che per farla non è stata fatta nessuna attività , ci si è basati esclusivamente sulle carte che man mano il procuratore ci dava. Erano carte che non riguardavano solo le indagini della Gdf, c’erano carte dei carabinieri, della polizia, carte fatte dai magistrati, relazioni fatte dai magistrati». Qual era l’ordine di Laudati? «Individuare e rappresentare eventuali criticità  che c’erano in determinati procedimenti». Calvi lo incalza: «Qual era la ragione della relazione?». Sportelli: «Voleva rendersi conto di ciò che si era fatto e ciò che non si era fatto». Calvi: «Ha mai avuto conoscenza anche di atti interni?». Il maggiore: «I verbali di coordinamenti, sì». Drammatico il confronto con Carfì: «Quali atti consegnati e da chi?». Lui: «Tutti. Tutti gli atti di tutti i procedimenti penali. I magistrati mandavano le carte al procuratore e il procuratore ci dava queste carte a noi». Carfì: «Questa relazione aveva lo scopo di sottoporre a vaglio critico le indagini dei pm Scelsi e Digeronimo?». Sportelli: «No, no». Carfì: «Perché andava solo dalla Pontassuglia e non da Scelsi?». Lui: «Con la dottoressa c’era un rapporto…».
“ANGOSCIATO DA VOCI ESTERNE”
Laudati era questo. Questo il suo “metodo”. Quello che lo porta per ben due volte a parlare con il capo dei gip Antonio Lo Vecchio e a pronunciare quelli che Lo Vecchio definisce «bisbigli». Cioè delle allusioni a comportamenti opachi di due gip, Vito Fanizzi e Sergio Di Paola, quello che ha deciso l’arrestio di Lavitola. Lo aveva detto Scelsi nell’esposto. Ecco cosa racconta Lo Vecchio l’11 ottobre. «Laudati aveva un rapporto con me, scendeva e scende talvolta a trovarmi. Era rammaricato di questo provvedimento. Mi ha detto: “questo perché Fanizzi partecipa alle feste di Tarantini”». Si lagnava, Laudati, perché Fanizzi aveva respinto la richiesta di mettere Tarantini in carcere e gli aveva dato solo i domiciliari. La scesa si ripete simile con Di Paola. Lo Vecchio risponde a Calvi che gli legge l’esposto di Scelsi: «Ricevetti la visita di Laudati il quale mi disse “Di Paola? Ho avuto voci di suoi interessi nella vicenda che sta esaminando”. Quando se ne andò mi precipitai nell’ufficio di Di Paola e dissi “che cosa sono queste voci, perché non depositi questa benedetta ordinanza?” Di Paola mi fece vedere l’ordinanza che aveva poggiata lì sul tavolo bella e pronta, dicendo che dalla procura gli erano venute disposizioni perché fosse depositata dopo il convegno organizzato dalla Giustizia». I consiglieri della prima commissione chiedono a Lo Vecchio se questo gli pare un comportamento consono per un capo dell’ufficio. Lui risponde: «Era una persona preoccupata di qualcosa che aveva sentito e a cui credeva. Quando lo rassicuravo non mi credeva e continuava a ripetere sempre ossessivamente la stessa cosa: Fanizzi così, quelle là  frequentavano le feste, non sono affidabili eccetera, ma mai con toni arroganti. Mi sembrava soltanto preoccupazione. Mi sembrava un recettore di voci provenienti dall’esterno, non mi chiedete da dove, che lo angosciavano».

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