Camusso: “O ha le prove o il ministro stia zitto nelle fabbriche e negli uffici non ci sono segnali”
ROMA – «Nelle fabbriche, negli uffici, nei luoghi di lavoro non c’è alcun segnale che faccia presagire un ritorno agli anni della violenza politica». Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, è irritata e preoccupata per le affermazioni del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Le considera perlomeno «esagerate». Fuori luogo: «Servono a spostare l’attenzione su altro, mentre sono il lavoro e i licenziamenti il tema al centro della discussione».
Eppure negli ultimi giorni lo scontro sull’intenzione del governo di modificare la legge sui licenziamenti si è fatto molto aspro. Lei davvero non vede il rischio che, in un clima di questo tipo, qualcuno possa passare al gesto violento, fino all’omicidio, come dice Sacconi?
«Intanto vorrei dire che se un ministro della Repubblica fa affermazioni di quel tipo dovrebbe aver qualche elemento che le sostenga. E se ce l’ha non dovrebbe costruire un clima di preoccupazione e usarlo come argomento per sostenere la sua tesi sui licenziamenti, ma dovrebbe chiedere un intervento del ministro dell’Interno e chiedere al Parlamento di affrontare questo tema per mettere in atto tutte le misure per scongiurare qualsiasi azione violenta».
Sta sostenendo che Sacconi sia un irresponsabile?
«Le sue sono affermazioni che piombano dal nulla e fanno sorgere molti interrogativi».
Quali?
«Per esempio che si voglia spostare l’attenzione. Come se una discussione inevitabilmente vivace su una questione molto sensibile socialmente e politicamente, come quella dei licenziamenti, possa di per sé evocare il terrorismo».
Sacconi sostiene anche che si stia creando un clima simile a quello che precedette l’uccisione di Marco Biagi. Lei esclude qualsiasi similitudine? Di certo, anche allora, lo scontro era sull’articolo 18.
«L’omicidio del professor Biagi avvenne al termine di una lunga stagione di terrorismo che riuscì a entrare in alcune fabbriche ma trovò proprio nel sindacato un baluardo fondamentale. Tutto questo, per fortuna, oggi non c’è più. Non vedo nulla di paragonabile alla violenza politica di quegli anni. Oggi ci sono altri fenomeni, come quello che abbiamo visto all’opera il 15 ottobre scorso a Roma. Ma non mi pare proprio che siano soggetti anche solo lontanamente identificabili con i lavoratori o abbiano qualche attinenza con la discussione sui licenziamenti o il mercato del lavoro. Piuttosto vedo alcune analogie con il “dopo 15 ottobre”: anche lì, anziché occuparsi dei violenti, si è cambiato argomento e ridotte le possibilità di manifestazione».
Con gli accordi separati alla Fiat la tensione sindacale, anche per colpa della crisi, è tornata altissima. Lei esclude, in questo contesto, qualsiasi tentativo dei nuovi e vecchi movimenti politici violenti di entrare nelle fabbriche?
«Non disponiamo di alcun strumento di indagine come possono avere le forze dell’ordine e i magistrati, ma non abbiamo avuto segnali in questa direzione. Nemmeno nelle aziende in cui il conflitto è stato più pesante. Piuttosto vedo un altro rischio: quello della rivolta sociale, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno. Ma questo non ha nulla a che vedere con il terrorismo. Sono proprio i timori di una rivolta di chi è disperato ed è senza speranza che ci fanno insistere nel chiedere politiche attive per il lavoro, mentre la questione dei licenziamenti getta soltanto benzina sul fuoco».
Negli anni di piombo i terroristi hanno provato ad avere contatti con alcune aree delle organizzazioni sindacali. Potrebbe accadere qualcosa di simile ora?
«Per le cose che conosco, anche se il mondo sindacale italiano è vastissimo, direi proprio di no».
Nemmeno le divisioni tra Cgil, Cisl e Uil potrebbero aver potuto favorire qualche “incursioni” nel movimento sindacale?
«Lo escludo. Se c’è una cosa che ci ha sempre uniti è la nostra determinazione a contrastare ogni forma di violenza».
Non crede che pure un linguaggio violento possa facilitare, come è già accaduto, il passaggio, appunto, dalle parole ai fatti?
«Guardi, noi della Cgil siamo i primi a denunciare il degrado del linguaggio politico. Anche in questo modo è venuto meno il rispetto delle istituzioni. Restando al mondo sindacale uno dei discrimini è proprio la violenza, anche nelle parole».
Lei ha definito Sacconi «il peggior ministro del Lavoro nella storia della nostra Repubblica». Ha detto anche che punta «scientificamente a ridurre i diritti dei lavoratori». Non c’è un’eccessiva personalizzazione contro il ministro del Lavoro?
«Sono opinioni che rientrano nella normale discussione politica. Tuttavia cerco sempre di riferirmi alle istituzioni e non alle persone che pro tempore ricoprono quel ruolo. Detto ciò, sappiamo tutti che quando si sceglie di assumere un incarico pubblico si è sottoposti alla libera critica».
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