by Sergio Segio | 3 Ottobre 2011 6:22
LONDRA – La crisi del debito nell’eurozona è una minaccia per tutta l’Europa, anche per i paesi che non hanno aderito alla moneta comune, incluso quello più euroscettico per eccellenza, il Regno Unito. A lanciare l’allarme è David Cameron, all’apertura dell’annuale congresso del partito conservatore, che si tiene questa settimana a Manchester. Il premier britannico esorta dunque l’Unione Europea a salvare la Grecia e a rimettere ordine nelle finanze degli altri stati membri che traballano, anche se personalmente si oppone ad allargare i cordoni del credito a casa propria, dove non intende fare retromarcia sulla rigida politica fiscale di taglia senza precedenti alla spesa pubblica avviata un anno fa. Ciononostante, un leader britannico, per di più conservatore, che si preoccupa per il resto del continente è comunque una notizia, tanto più che Cameron aggiunge di essere contrario a un referendum su un’eventuale uscita della Gran Bretagna dalla Ue, un’iniziativa presa di recente dal gruppo più anti-europeo di deputati dei Tories: «Il nostro posto è in Europa», dice il premier, sia pure aggiungendo che, in futuro, gli piacerebbe riprendersi qualcuno dei poteri ceduti da Londra a Bruxelles.
«La crisi del debito nell’eurozona non è solo una minaccia a se stessa, ma anche una minaccia all’economia britannica», afferma Cameron, in un’intervista alla Bbc, concessa in un fine settimana di timori su cosa accadrà stamane alla riapertura dei mercati. Ed è presumibilmente anche con l’intento di calmare i mercati che il primo ministro spiega il suo punto di vista: «Sarebbe molto grave se l’eurozona andasse in pezzi, grave per i paesi membri e grave per l’economia del nostro paese. Il 40% delle esportazioni britanniche va all’eurozona, sicché pagheremmo anche noi le conseguenze di un collasso della moneta comune». Cameron ha aggiunto che il suo governo ha le idee «molto chiare» su cosa è necessaria fare per evitare il peggio, e sta premendo a tal fine insieme ai suoi partner all’interno della Ue e del Fondo Monetario Internazionale. Nell’intervista alla Bbc, il premier sostiene che i leader dell’eurozona devono rafforzare i meccanismi finanziari della regione, assicurarsi un maggior coinvolgimento del Fmi e affrontare con determinazione gli alti livelli di debito sovrano. Insomma ci vuole un’azione concertata che coinvolga tutti. Del resto gli Stati Uniti stanno agendo a tutto campo e sono arrivati persino al voto (già questa settimana) di una legge protezionista contro la Cina.
Nello specifico dell’economia britannica, entrata in una fase di stagnazione che secondo alcuni osservatori rischia di diventare una nuova recessione, il primo ministro promette la costruzione di 200 mila nuove case a buon mercato e la creazione di 400 mila nuovi posti di lavoro, negando di essere rimasto a guardare di fronte agli spettri di una seconda crisi. Ma si è rifiutato ancora una volta di adottare «un piano B», ossia di spendere «qualche miliardo di sterline in più» per rilanciare l’economia: «Sarebbe una pericolosa scommessa – dice Cameron – deviare dall’obiettivo di ridurre il prima possibile il deficit accumulato dal precedente governo durante il crac finanziario del 2008».
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