by Sergio Segio | 6 Ottobre 2011 7:36
E’ molto, ma l’invenzione dell’acronimo ha fatto anche di più: ha trasformato il modo stesso con il quale il pianeta ruota. Ha spiegato un fenomeno e ne ha dato coscienza ai suoi protagonisti. Nell’autunno del 2001, quando fu coniato da Jim O’Neill, i Bric sembravano i personaggi improbabili di una favola ingenua. Il capo economista della banca d’investimenti americana Goldman Sachs — pensarono quasi tutti — aveva fatto i suoi conti sotto lo choc dell’11 settembre. Solo così poteva spiegarsi il fatto che prevedesse il declino (relativo) dell’Occidente e l’emergere portentoso, in economia come nella politica, di un’entità mai esistita e — si diceva — impossibile da creare.
Dieci anni dopo, non solo le sue analisi si sono dimostrate più che giuste. I Bric sono soprattutto diventati un soggetto politico. O’Neill ha cioè inventato un brand e gli ha anche dato gambe sulle quali camminare. Ormai, i Bric votano in modo simile alle Nazioni Unite, si tratti di Libia o di Siria (due notti fa). Tengono summit tra loro. Si presentano come i protagonisti del nuovo mondo. Usano il club per creare egemonie quando si discute di clima o quando decidono di mettere piede nel continente africano e quindi aprono le porte al Sudafrica e si trasformano in Brics. Grazie all’acronimo, la mappa cognitiva che sta nella mente di chi fa la politica internazionale è cambiata. E gli stessi leader dei quattro (ora cinque) Paesi coinvolti hanno avuto più chiaro davanti a sé e davanti alle loro opinioni pubbliche come stesse trasformandosi il mondo, di come la centralità dell’Occidente stesse venendo meno.
In quell’autunno 2001, nella banca più prestigiosa di Wall Street — cuore potente dell’impero — nasceva insomma la narrazione del fenomeno forse più rilevante dello scorso decennio: l’emergere economico e politico dei Paesi poveri, la creazione di un nuovo equilibrio internazionale.
Jim O’Neill era arrivato da poco alla guida del dipartimento economico di Goldman Sachs. Figlio di un postino di Manchester, fan senza se e senza ma degli United, l’11 settembre 2001 era nel suo ufficio di Londra in collegamento video con New York quando la linea cadde. L’attentato alle Twin Towers diventò la sua ossessione intellettuale: non era la fine della globalizzazione — teorizzò nelle settimane successive — ma era la fine della globalizzazione americana. «Per avanzare la globalizzazione avrebbe dovuto essere accettata da più gente — scrisse — non imposta dal credo sociale e filosofico e dalle strutture americane». Si mise al lavoro, studiò i numeri di Paesi che allora conosceva così così e, poco tempo dopo, pubblicò un report a nome della banca che inizialmente sollevò parecchie sopracciglia.
Oltre a mettere il termine Bric, allora sconosciuto, nel titolo, vi sosteneva che i quattro Paesi sarebbero cresciuti in dieci anni dall’8% del Prodotto lordo mondiale al 14%. Che la Cina avrebbe sorpassato, sempre come Pil reale, gli Stati Uniti nel 2041. Che in un decennio il Brasile avrebbe avuto un’economia grande quasi quanto quella dell’Italia. Inoltre riteneva che, «con queste prospettive, i forum politici mondiali dovrebbero essere riorganizzati, in particolare il G7 dovrebbe essere rivisto per incorporare i rappresentanti dei Bric». Nel 2001 sembrava che stesse dando i numeri.
Dieci anni dopo, le previsioni di O’Neill si sono rivelate più che corrette, addirittura superate dalla realtà . Il Pil dei Bric è ormai al 17% di quello globale (dato 2010), la Cina sorpasserà gli Stati Uniti non nel 2041 ma nel 2027 (nuova proiezione dello stesso O’Neill), il Pil del Brasile ha superato quello dell’Italia già l’anno scorso. Nel 2030, i Bric produrranno il 47% del Pil mondiale. Infine, il G7-G8 è di fatto tramontato ed è nato un G20, proprio nella prospettiva indicata da O’Neill. I quattro Paesi, che dieci anni fa non avevano alcun forum comune, sono una realtà che fa sentire la sua voce e hanno ormai un peso proprio.
In più, hanno tracciato una strada per altri, tanto che oggi si parla di vari gruppi di Paesi emergenti, l’ondata del futuro in arrivo, primo fra tutti il Civet (zibetto): Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia. E’ che, ormai, anche in diplomazia si cerca il brand per avere un’identità nel mondo multipolare. Non sempre è un bene, come si è visto nel voto sulla Siria alle Nazioni Unite: ma anche questo O’Neill l’aveva previsto.
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