Bossi vede Tosi, tregua nella Lega

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MILANO — Il giorno della pace. O, almeno, della tregua. Umberto Bossi ieri ha incontrato Flavio Tosi nel quartier generale del Carroccio di via Bellerio, a Milano. Un appuntamento delicato, il primo faccia a faccia dopo che il leader leghista aveva dato dello «str…» al sindaco di Verona. Accusato di eresia da una parte del partito per le sue prese di posizione contro i tagli ai Comuni disposti dalle ultime manovre e, soprattutto, per l’aver liquidato l’indipendenza della Padania come «filosofia» rispetto alle urgenze imposte dalla crisi economica.
Ma, appunto, ieri è stato il giorno del sereno. «Con Bossi non c’è mai stata guerra — ha spiegato Tosi all’uscita dall’incontro —. La Lega è una famiglia dove ogni tanto dal capo ci si prende qualche parola, ma va bene così». Secondo il sindaco della città  di Giulietta, «conta portare a casa i risultati, e la Lega questi risultati li porta. Anche l’ultimo documento, la lettera che è arrivata a Bruxelles dal governo, è un risultato della Lega».
Sui temi dell’incontro Tosi non ha voluto sbilanciarsi. «Abbiamo parlato di questioni di carattere generale, non di una singola dichiarazione», spiega prima di rendere omaggio al ruolo di Umberto Bossi: «Tosi è il sindaco di Verona e Umberto Bossi è il capo e fa il segretario federale. Nel nostro movimento c’è una gerarchia dove c’è appunto un capo». E, insomma, ha concluso Tosi, «ci siamo lasciati non in maniera tranquilla, di più». Il sindaco scaligero non ha rinunciato comunque alla sua autonomia. Uscito da Via Bellerio è andato negli studi Rai di corso Sempione a registrare L’ultima parola di Gianluigi Paragone. E pazienza se nel movimento c’è chi vorrebbe che nessun leghista partecipi più al talkshow dell’ex direttore della Padania, ritenuto un po’ troppo autonomo.
In ogni caso, Tosi sembra uscito brillantemente da un appuntamento che nelle scorse settimane si era caricato di tensioni. Anche perché il problema non sono soltanto le pubbliche dichiarazioni, ma qualcosa di assai più concreto. Verona la prossima primavera torna alle urne e il sindaco intende presentare una lista civica a suo nome, come del resto nella scorsa campagna elettorale. Giusto ieri, una ventina di minuti prima dell’ingresso dell’uomo di Verona, da Via Bellerio è uscito Gian Paolo Gobbo, il segretario della Liga veneta. Che di liste senza il marchio di Alberto da Giussano proprio non vuole sentir parlare: «Non è certo un segreto — spiega — che io sulla lista non sia d’accordo. Del resto, esiste anche una delibera del consiglio federale che vieta di fare liste con nomi che non siano quello di Umberto Bossi». Anche se ieri, nella Liga veneta, il tema del giorno era la caduta di Gianpaolo Bottacin, presidente della Provincia di Belluno, sfiduciato da un insolito asse tra Pdl e Pd.
E intanto, nel movimento è da registrare l’attivismo territoriale di Roberto Maroni. Il ministro dell’Interno giovedì sera era a un incontro pubblico a Sesto San Giovanni, ieri si trovava invece a Lendinara, nel Polesine. Un presenzialismo che non sembra destinato a esaurirsi, nelle prossime settimane gli appuntamenti pubblici si moltiplicheranno. Fatto che desta gran sospetto nel «clan di Gemonio», il «cerchio magico» stretto intorno a Bossi.
Dove proprio non si riesce a trovare pace è nel gruppo di Montecitorio. Qui il clima resta tesissimo e gli appartenenti alle opposte fazioni neppure si salutano più. Bossi l’altra sera ha chiesto stupito perché gran parte dei deputati non avesse partecipato alla cena di compleanno di uno di loro. «Perché non ci è stato detto», spiega uno dei non invitati.


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