Boom fel referendum. Portate in Cassazione un milione di firme

by Sergio Segio | 1 Ottobre 2011 6:28

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ROMA — Il primo bottino politico del referendum che intende cancellare il «Porcellum» per ripristinare il «Mattarellum» — un milione e 200 mila firme depositate in Cassazione — è talmente pesante da far dire a Romano Prodi che si tratta «non soltanto di un trionfo ma del segno del grande desiderio di cambiamento per farla finita con una legge elettorale che ha umiliato i cittadini».

Insomma — galvanizzati anche dall’intervento del capo dello Stato che ha invocato una nuova legge elettorale — il democratico Arturo Parisi, il leader dell’Idv Antonio Di Pietro, Nichi Vendola di Sel, i liberali e tutti gli altri promotori del referendum brindano e già  guardano alle prossime tappe: entro il 20 dicembre la Cassazione dovrà  convalidare le firme, mentre non oltre il 10 febbraio la Consulta deciderà  sull’ammissibilità  dei quesiti. A quel punto, se la Corte non solleverà  problemi, il presidente della Repubblica potrà  indire la consultazione per una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. Questo percorso, tuttavia, si interrompe in due casi: se si va alle elezioni anticipate nella primavera del 2012 (e il referendum slitta di anno) oppure se il Parlamento riesce a mettere mano alla legge elettorale.

L’obiettivo del referendum è quello di abbattere la cosiddetta «legge porcata» voluta da Roberto Calderoli (Lega), che la definì tale, dal centrodestra e in parte dai centristi di Casini con le sue liste bloccate e il forte premio di maggioranza concesso alla coalizione che vince. In caso di vittoria del sì ci sarebbe dunque un ritorno al «Mattarellum», che dal ’94 al 2005 propose agli italiani il sistema dei collegi uninominali (vince il candidato che ottiene più voti) con una quota proporzionale del 25% da spartire tra i piccoli che superavano lo sbarramento del 4% assicurando così il cosiddetto «diritto di tribuna» alle minoranze.

Nel Pd questo referendum ha provocato più di un ripensamento. Prima il gelo dei vertici e poi, vista l’onda montante delle adesioni della base e di moltissimi dirigenti del partito, il via libera di Pier Luigi Bersani a dare una mano per raccogliere le firme. Per questo il segretario del Pd ha voluto ribadire il concetto: «Non ci ho messo il cappello, ma i banchetti per raccogliere le firme sì». E il senatore Stefano Ceccanti spiega le conseguenze di questo atto politico: «Le Camere ora dovranno certo assumersi le loro responsabilità ». Mentre Antonio Di Pietro (Idv), che ci ha creduto fin dall’inizio, pone tre paletti: «Fuori dalle Camere i condannati, no a incarichi di governo per i rinviati a giudizio, no al doppio lavoro per i parlamentari». E ora che il conto alla rovescia è partito esultano anche Nichi Vendola («È un messaggio che ha un valore civile prima ancora che politico») e Benedetto Della Vedova (Fli), secondo il quale «ora il treno delle riforme si è messo in movimento e i cittadini hanno indicato la direzione giusta». Pdl e Udc invece tifano per il fallimento del referendum. Anche a costo di votare con un anno di anticipo.

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