Bernanke critica l’Europa: deve fare di più

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In un’altra giornata di andamenti molto negativi per le Borse di tutto il mondo, il capo della Fed, Ben Bernanke, ha fatto ieri la sua prima uscita pubblica da quando, il 21 settembre scorso, ha varato un intervento aggiuntivo mirante a ridurre il costo del denaro anche per i prestiti a lunga scadenza.

Parlando al Congresso, davanti a una commissione mista Camera-Senato, Bernanke ha definito quell’intervento (che, ha spiegato, farà  calare i tassi dello 0,20%) «significativo ma non risolutivo». La Fed, ha aggiunto, ha ancora frecce al suo arco e le userà  se sarà  necessario. Ma non ora. «Non siamo la panacea di tutti i mali. La ripresa dell’economia e dell’occupazione è una responsabilità  condivisa. Ora tocca a governo e Parlamento agire per sostenerla». Incalzante e assai preoccupato, il capo della Fed ha inviato alla politica un messaggio chiaro: fino a poche settimane fa il banchiere centrale sosteneva che l’economia sarebbe rimasta su un sentiero di crescita, sia pur limitata, se solo il governo non fosse intervenuto con tagli della spesa pubblica troppo drastici e immediati che avrebbero avuto un impatto recessivo. Ieri, invece, Bernanke ha sostenuto che è necessario un intervento di vero e proprio sostegno perché la ripresa si sta esaurendo.

Non tutti gli elementi del quadro disegnato dal banchiere centrale sono negativi. Dopo la crisi del 2008, le banche si sono ristrutturate, hanno parzialmente ripulito i bilanci, il sistema finanziario oggi è più stabile e sano, anche se mantiene punti di vulnerabilità . La produzione industriale è aumentata del 15% rispetto al punto più basso della recessione, spinta soprattutto dall’export. Il deficit commerciale degli Stati Uniti si è sensibilmente ridotto grazie al recupero di competitività  del Paese. E i dati del Pil del secondo semestre 2011 potrebbero anche risultare, a consuntivo, meno negativi di quelli della prima parte dell’anno, quando la crescita si è ridotta a meno dell’1%. Questo perché il sistema produttivo è riuscito ad ammortizzare difficoltà  congiunturali come l’impatto del terremoto in Giappone, mentre l’aumento dei prezzi del petrolio e delle altre materie prime che aveva avuto un effetto di freno, è ormai ampiamente rientrato.

Ma la realtà , ha ammonito il capo della Fed, è che la recessione è stata più profonda e la ripresa più debole di quanto pensava fino a poco tempo fa. La produzione non è ancora nemmeno tornata ai livelli pre crisi. E ora una serie di «fattori economici persistenti» — dalla sfiducia dei consumatori, spaventati anche dalla crisi europea, ai livelli occupazionali depressi dal basso numero di assunzioni nel settore privato, mentre quello pubblico continua ormai da due anni a eliminare personale — rischiano di far scivolare di nuovo indietro l’economia Usa.

Un messaggio tutt’altro che rassicurante, ma nelle due ore della sua audizione l’indice Dow Jones, partito molto male, ha recuperato 200 punti (chiudendo a +1,44%, addirittura +2,95% il Nasdaq). Effetto più delle voci di interventi di ricapitalizzazioni delle banche dell’area Ue provenienti dall’Europa che non delle parole di Bernanke. Che sono state, comunque, apprezzate per la loro chiarezza. Un’analisi impietosa, ma anche l’impegno a mettere in campo nuovi strumenti monetari se si creerà  una nuova emergenza. Il presidente della Fed non ha escluso nuovi, massicci acquisti di titoli immobiliari — le obbligazioni basate su mutui che continuano a ingolfare i portafogli delle istituzioni finanziarie — e si è detto pronto a fornire al sistema bancario tutta la liquidità  necessaria qualora la crisi debitoria dell’Europa dovesse infettare gli Usa. I cui istituti, ha ribadito, sono assai poco esposti nei confronti di Grecia, Irlanda e Portogallo.


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