by Sergio Segio | 14 Ottobre 2011 6:10
NEW YORK. “Verso l’Iran nessuna opzione è esclusa”, annuncia Barack Obama rifiutando di escludere a priori un’azione militare, come risposta al complotto di Teheran per uccidere l’ambasciatore saudita a Washington. Quel complotto per la Casa Bianca è un atto di guerra, una violazione della convenzione Onu sulla protezione dei diplomatici.
48 ore dopo l’annuncio dell’attentato sventato, il presidente torna a parlare per ribadire la ferma condanna degli Stati Uniti, fugare ogni dubbio sulla gravità della minaccia, e organizzare una reazione dura: partendo dall’ipotesi di un nuovo giro di sanzioni che isolino ulteriormente l’Iran. «I dirigenti di quel Paese devono pagare per le loro responsabilità , per il loro comportamento sciagurato». Paragona l’Iran alla Corea del Nord: «C’è lo stesso disprezzo per la legalità internazionale, fuori da ogni norma accettabile per la comunità mondiale».
Il presidente attiva le sue risorse diplomatiche per un’iniziativa a tutto campo: manda degli inviati ad Ankara e a Mosca, per cercare di costruire il consenso su sanzioni più severe. Affronta anche i dubbi e le perplessità che sono state sollevate sulla versione dell’Fbi, su quello strano complotto con due sicari iraniani che avrebbero dovuto ingaggiare i narcos messicani (per un magro compenso: 1,5 milioni) e sono finiti invece nelle mani di informatori della Drug Enforcement Agency (Dea). «I fatti sono a disposizione di tutti, le prove ci sono», dichiara Obama. Rivela che nel protestare il Dipartimento di Stato Usa è arrivato fino al “contatto diretto” col governo iraniano, nonostante non esistano relazioni diplomatiche fra i due paesi.
Obama ha la certezza che «qualcuno sapeva, ai vertici del governo iraniano, perciò dovranno risponderne». Quand’anche l’ordine non sia arrivato «dai livelli più elevati, di sicuro qualcuno era coinvolto all’interno del governo». Uno dei due terroristi, Mansour Arbabsiar, l’unico ad essere stato arrestato dall’Fbi, secondo il presidente «aveva contatti diretti con il governo di Teheran, era pagato da loro, guidato da loro», anche se i mandanti speravano di confondere le acque e puntavano sull’attribuzione dell’attentato ad Al Qaeda. Questa ipotesi di depistaggio spiegherebbe anche un certo dilettantismo dell’operazione, che continua a sconcertare gli esperti. Il progetto di assassinare l’ambasciatore saudita e far esplodere la sede diplomatica «rientra in un modello di comportamento sistematico, distruttivo e irresponsabile», dice Obama. Del resto, assicura, le prove del coinvolgimento diretto di Teheran sono già state fornite a tutti i governi alleati. Che non sembrano avere dubbi, a giudicare per esempio dalla dura reazione inglese e soprattutto saudita. Il principe Saud al-Faisal riecheggia la posizione americana: «L’Arabia saudita non si piega, l’Iran dovrà rispondere dei suoi atti».
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