Arrivano dagli Usa le “bionde ogm” ecco le sigarette che fanno meno male
New York. È la più grande stecca mai acquistata da un singolo fumatore: una stecca che contiene nove milioni di sigarette. Ma questa volta lo Zio Sam ha giurato che sarà l’ultima: se l’esperimento riesce. La stecca magica ha un nome che a sentirlo mette quasi paura: geneticamente modificata.
Ma gli scienziati imbarcati nel progetto giurano che l’ogm stavolta è davvero il male minore. Anzi il male che cancella il male per antonomasia: il tumore. Perché la sigaretta geneticamente modificata promette la riduzione della nicotina senza che il fumatore perda piacere e sapore. L’unica cosa che potrebbe perderebbe – col tempo – è solo il vizio.
Troppo ottimismo? Anche l’esperimento è il più grande mai tentato. L’ultima volta che ci ha provato il governo degli Stati Uniti ha trovato davanti a sé il più formidabile degli avversari: Big Tobacco. La Philip Morris qualche tempo fa aveva accettato di fornire agli scienziati sigarette con meno nicotina. Ma quando quelli avevano chiesto altro tempo – e stecche – s’era subito tirata indietro. Adducendo di tutto: dalle conseguenze ancora sconosciute per chi smette fino al possibile boom del mercato nero. Le sigarette insomma che sarebbero tornate di contrabbando: perché contengono quella nicotina che lo stato avrebbe voluto spremere via dalle Marlboro & Co.
Nel bel mezzo di questa battaglia si staglia adesso un’azienda che gioca sui tavoli incrociati di business e salute. Si chiama 22nd Century Group ed è guidata da un italoamericano dal nome che riecheggia il re dei Soprano’s: Joseph Pandolfino. Una compagnia biotech. Che ha accontentato l’Istituto di Sanità con questa supercomanda che servirà a sperimentare finalmente la sigaretta ogm sui primi cinquecento fumatori nei prossimi sei mesi. Ma che contemporaneamente ha fatto richiesta alla Food and Drug Administration che negli Usa regola il mercato per farsi approvare una sigaretta – nome in codice “Brand B” – che contiene paradossalmente fino al 2.5 per cento di nicotina in più nel tabacco. Possibile?
Il mistero è presto spiegato. Il killer nella sigaretta non è tanto la nicotina. Il temibile alcaloide è sì responsabile della diabolica dipendenza. Il meccanismo è noto. La nicotina ci mette 10 secondi a salire dalla bocca al cervello: dove subito sviluppa la sua azione rilassante che però la dipendenza trasformerà presto in pulsione nervosa all’incontrario. Ma il peggio è altro. È il catrame prodotto dal fumo che alla nicotina “si azzecca”: e che la droga inalata trasporta ai polmoni. È questo muro di catrame il killer che col tempo si mangia i tessuti: dando vita a quel fenomeno tragicamente conosciuto come cancro ai polmoni. Ecco perché le sigarette light – quelle che sbandierano meno nicotina – rischiano paradossalmente di fare più male. Per percepire meglio l’effetto della nicotina il fumatore fuma di più: e trasporta quindi più catrame nei polmoni. Ed ecco anche perché mister Pandolfino vuole vedersi certificare le sue sigarette con il livello più alto di nicotina: perché il fumatore meglio appagato inalerebbe di meno graziando quindi i suoi polmoni.
L’Istituto di sanità americano è ovviamente più interessato all’altra categoria di sigarette ogm: quelle che potrebbero ridurre la quantità di nicotina fino al 97 per cento. Gli studi condotti da due ricercatori – la dottoressa Dorothy Hatsukami dell’Università del Minnesota e il dottor Neal Benowitz della Fda – hanno dimostrato che nel tabacco geneticamente modificato non scatterebbe il fenomeno “compensazione” finora osservate nelle sigarette leggere: e la superstecca finalmente arrivata dovrebbe adesso perfezionare la sperimentazione ormai entrata nella Fase Tre. L’istituto – rivela il New York Times – ha già stanziato 2 milioni e mezzo di dollari per una serie di studi che nell’arco di cinque anni dovrebbero rivelare l’impatto della riduzione di nicotina. Ma soprattutto rispondere a una domanda essenziale: se l’effetto del tabacco geneticamente modificato è lo stesso che cosa spingerebbe il fumatore a smettere? È lo stesso interrogativo che si stanno ponendo i Dottor Stranamore di Big Tobacco: sperando che le sigarette ogm non mandino in fumo quel business da 90 miliardi di dollari che ogni anno rimanda al creatore – solo negli Usa – quattrocentomila poveracci.
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