Arriva il bimbo numero 7 miliardi India e Africa si disputano il record

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Non sarà  proprio un concorso di bellezza ma certamente sarà  una gara di autopromozione per il ruolo di potenza del futuro. Le Nazioni Unite hanno stabilito che tra meno di una settimana, il 31 ottobre, nascerà  l’abitante numero sette miliardi del pianeta. Il countdown è iniziato lunedì scorso e le celebrazioni ufficiali si terranno lunedì prossimo. A differenza di 12 anni fa, quando l’Onu individuò il sei miliardesimo umano in un bambino nato a Sarajevo, questa volta al Palazzo di Vetro hanno però deciso di non scegliere un luogo preciso per la storica nascita: siamo tutti fratelli. Ciò nonostante, si annuncia una certa competizione per mettere il cappello sull’evento.
L’India ha sogni e numeri da grande potenza, ha una rivalità  ansiogena con la Cina e, dalle indiscrezioni, sembra intenzionata a rivendicare per un indiano la corona in gioco. Per il calcolo delle probabilità , ha anche ragione: se si guarda alla media delle nascite tra il 2005 e il 2010, un bambino su cinque dei nati al mondo è stato dato alla luce in India. In più, tra ora e la prossima pietra miliare delle statistiche demografiche — l’abitante numero otto miliardi previsto tra 14 anni — il Paese supererà  la Cina per diventare il più popoloso del mondo. Ciò nonostante, l’onore lo potrebbe rivendicare con ottimi argomenti Pechino, oppure la Nigeria in grande crescita come buona parte dell’Africa, o un Paese centro-americano. E probabilmente più di una capitale il 31 ottobre rivendicherà  in qualche modo il privilegio. D’altra parte, il 12 ottobre del 1999 il segretario generale dell’Onu Kofi Annan decise di premiare la martoriata Sarajevo e scelse Adnan Mevic: ma anche allora fu ovviamente un gesto simbolico e politico.
Sette miliardi di persone sul pianeta, e in crescita, pongono in modo drammatico questioni antiche, dibattute almeno dal 1798, quando Malthus pubblicò il suo Saggio sul principio della popolazione. Oggi, però, sottolinea in modo inequivocabile anche i cambiamenti in corso. In un mondo in cui il 55 per cento delle nascite avviene in Asia, più del 25 per cento in Africa e l’otto per cento in America Latina, è inevitabile che i rapporti tra le diverse aree cambino anche dal punto di vista economico e da quello politico. Ancora di più negli anni a venire. Fino a pochi mesi fa, le Nazioni Unite prevedevano che la popolazione mondiale (il cui ritmo di crescita sta rallentando) si sarebbe stabilizzata attorno ai nove miliardi verso il 2050: ora prevede invece che arrivi a dieci miliardi a fine secolo e non sa quando smetterà  di crescere. I tassi di nascita di alcuni Paesi in via di sviluppo, che ci si aspettava avrebbero rallentato con il miglioramento delle condizioni di vita e la diffusione del controllo della nascite, sono rimasti inaspettatamente alti, soprattutto in Africa. E anche alcuni Paesi ricchi, Stati Uniti in testa, hanno ripreso a crescere significativamente. I pesi demografici — ed economico-politici — sono dunque destinati a cambiare non poco anche nei prossimi decenni, con l’Europa in netto declino (anche se alcuni Paesi come la Francia hanno una curva demografica positiva).
Al di là  delle variazioni geografiche, anche la domanda storica è destinata a rimanere: quanta popolazione è in grado di sopportare la terra? Negli anni Ottanta, divenne famosa la sfida tra un biologo, Paul Ehrlich, e un economista, Julian Simon. Scelsero cinque metalli e fecero una scommessa sui prezzi reali che avrebbero raggiunto dieci anni dopo: il primo era certo che sarebbero volati a causa della crescita della popolazione e della scarsità  che questa avrebbe provocato, il secondo sosteneva che sarebbero diminuiti. Vinse l’economista Simon e i neo malthusiani incassarono la sconfitta. Se la scommessa avesse avuto un limite temporale di trent’anni e fosse terminata l’anno scorso avrebbe però vinto il biologo e i sostenitori della teoria della scarsità  avrebbero festeggiato. Questo per dire che la disputa iniziata con Malthus più di due secoli fa non è ancora risolta ed è destinata a continuare.
Bill Gates, che ormai si occupa sempre più di temi dello sviluppo, calcola che, solo per mantenere costante la produzione pro capite di cibo, nei prossimi decenni sarà  necessaria una seconda rivoluzione verde (la prima si realizzò tra gli anni Quaranta e Settanta e portò a un aumento straordinario delle rese agricole e alla fine delle carestie in Paesi come l’India). Non sarà  facile: i cambiamenti climatici stanno riducendo le produzioni, anziché accrescerle. Inoltre, l’aumento della popolazione non comporta solo problemi di cibo ma preme negativamente sugli ecosistemi della Terra.
Come che sia, l’Onu dice che lunedì sarà  una festa. E almeno l’India celebrerà  la sua giovanissima curva demografica, la più sexy del pianeta.


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