Ankara promette vendetta
Torna sulle prime pagine dei giornali il conflitto kurdo-turco. I 26 (o 24 a seconda delle fonti) militari turchi morti in una serie di attacchi simultanei sferrati dai guerriglieri del PKK contro diversi obiettivi delle forze di sicurezza nella zona di Hakkari hanno fatto gridare a una nuova recrudescenza del conflitto. In realtà la guerra non è mai cessata, le operazioni dell’esercito turco non sono mai diminuite. Anzi, da agosto si susseguono bombardamenti in tutta la zona al confine con Iraq e Iran e spesso e volentieri gli F-16 turchi sono entrati nel Kurdistan iracheno colpendo non tanto o non solo le basi del PKK (il Partito dei lavoratori del Kurdistan) ma soprattutto villaggi facendo molte vittime civili di cui nessuno parla.
Gli attacchi di ieri hanno suscitato reazioni molto forti, comprensibilmente. A parte il presidente della repubblica, l’islamico Abdullah Gul, che ha promesso «vendetta» e altro sangue, è stato il Bdp (Partito della pace e democrazia), cioè il partito dei kurdi a fare la prima dichiarazione. «Basta – si legge nel comunicato – con la guerra. È tempo che le armi tacciano e si realizzino le condizioni per favorire la pace». Parole che il Bdp va ripetendo da anni ormai. In questo sostenuto dal PKK che (è bene ricordarlo) ha osservato un cessate il fuoco unilaterale fino al 15 giugno di quest’anno. Cioè fino a dopo le elezioni politiche che hanno visto kurdi e sinistra turca eleggere ben 36 deputati al parlamento turco. Quello che è successo dopo questo risultato serve a contestualizzare anche l’attacco di ieri, al quale i turchi hanno risposto con una nuova offensiva aerea in nord Iraq.
Uno dei 36 deputati, Hatip Dicle (in carcere), è stato privato del suo mandato per un «reato» (lui che era già stato deputato con Leyla Zana e aveva già fatto 10 anni di carcere) di natura «terroristica». Cinque deputati sono attualmente in carcere. Al giuramento, dopo un boicottaggio durato tre mesi e mezzo, si sono presentati in 30. Da marzo a oggi sono finiti in carcere qualcosa come 8.000 tra amministratori locali kurdi, attivisti per i diritti umani, militanti del Bdp con l’accusa di essere in qualche modo legati al PKK. Dal 2009 (anno della vittoria dei kurdi alle amministrative) sono sotto processo oltre 4.000 politici kurdi. Dal 27 luglio il presidente del PKK Abdullah Ocalan (in carcere dal 1999 sull’isola di Imrali) non può vedere i suoi avvocati. Un divieto imposto dopo che per mesi uomini del premier Recep Tayyip Erdogan hanno incontrato il leader kurdo per concordare «protocolli di pace» poi gettati nel cassetto.
Erdogan non vuole la pace con i kurdi. Non la vuole perché ha in mente un piano di ricollocazione della Turchia sullo scenario internazionale nel quale i kurdi in questo momento sono elemento di disturbo. Perché sono, nei fatti, l’unica vera opposizione al disegno del premier islamico. Che è quello di fare della Turchia l’interlocutore principale dell’occidente (e degli Usa in particolare) in Medioriente. Da qui anche le tensioni con Israele. La Turchia vuole diventare il braccio destro degli Usa, oggi un ruolo ricoperto da Tel Aviv. E vuole essere il cavallo di Troia nella regione. Da qui il sostegno alle opposizioni (alcune) in Siria contro Assad o il suo porsi come mediatore in ogni conflitto in corso, da quello israelo-palestinese a quello libico. Erdogan ha fatto il giro dei paesi della primavera araba accolto come un leader. Il modello Turchia piace agli islamici che hanno bisogno di «svecchiare», di mandare a casa i leader matusa per proporre un islam più «moderno». In realtà un’altra versione dello stesso regime autoritario. Con in più la matrice religiosa.
In Turchia questo disegno si traduce in un governo religioso apparentemente «democratico» e rispettoso dell’altro. La guerra contro i kurdi, lo sa anche Erdogan, non può essere vinta militarmente, perché non si può pensare di eliminare la lotta di un popolo che reclama il diritto a esistere. Ma la guerra, con i suoi morti, sposta l’attenzione dai problemi reali. Che sono quelli che vedranno il parlamento per esempio impegnato nella redazione di una nuova costituzione sulla quale i deputati kurdi e della sinistra hanno molto da dire.
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