Anche Moody’s declassa l’Italia il rating crolla da “Aa2” a “A2”

by Sergio Segio | 5 Ottobre 2011 7:16

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ROMA – Come promesso, Moody’s scioglie la riserva e declassa l’Italia, come già  Standard&Poor’s lo scorso 20 settembre (da A+ ad A). Il giudizio, ovvero il rating, sul suo debito passa da Aa2 ad A2 con outlook (e dunque prospettive future sull’economia del Paese) negativo, scivolando dietro Spagna, Slovacchia, Estonia. Al livello di Botswana, Malta, Polonia. Una bocciatura sonora che ci fa scivolare giù di ben tre gradini. «Il rischio di default dell’Italia è remoto», assicurano gli analisti. Ma «la vulnerabilità  di questo Paese è aumentata».
Così, anche il voto dell’agenzia di rating di New York, finora il più alto rispetto a quello di Standard&Poor’s e Fitch, riceve il ridimensionamento promesso già  a metà  giugno quando Moody’s metteva sotto osservazione l’Italia, segnalando come decisive per il governo e il risanamento «le prospettive di crescita per l’economia del Paese». Nel mezzo, un’estate caratterizzata da spread (la differenza) con i titoli decennali tedeschi ampliato a dismisura, due severe manovre economiche, la seconda per concretizzare gli imperativi della Banca centrale europea a fare più in fretta e anticipare di un anno, al 2013, il pareggio di bilancio. E, soprattutto, le stime di crescite precipitate allo zero virgola, come anche il governo ha poi dovuto certificare nella nota al Documento di economia e finanza aggiornata un paio di settimane fa. Così, il warning, l’avvertimento di giugno, faceva presupporre un declassamento nel giro di novanta giorni. Ma a metà  settembre Moody’s ha fatto sapere di dover valutare con più attenzione la cura da cavallo, la doppia manovra estiva, somministrata dal governo Berlusconi ad un Paese in apnea. A distanza di due settimane, il responso: Italia bocciata.
La motivazione del downgrade di Moody’s, la seconda agenzia di rating mondiale per importanza dopo S&P, fondata nel 1909, è chiara. La bocciatura è dovuta «in parte ai rischi derivanti dalle incertezze economiche e politiche» e «in parte all’aumento dei rischi al ribasso per la crescita economica e all’indebolimento delle prospettive globali». Ma a pesare è il giudizio sul governo. «L’economia italiana continua a fronteggiare le sfide alle sue debolezze strutturali», concede nelle motivazioni Moody’s. «Ma questi impedimenti non possono essere rimossi rapidamente», visto che «il piano di riforme del governo è appena avviato e ha bisogno di essere implementato in modo efficiente». Anche perché «oltre la metà  delle misure di consolidamento fiscale sono basate sull’aumento delle entrate», scrive Moody’s. Il che rende «i piani vulnerabili rispetto all’elevato livello di incertezza sulla crescita economica dell’Italia e nel resto dell’Ue». Inoltre, sembra «difficile raggiungere un consenso politico su tagli alla spesa aggiuntivi». Proprio come indicato da S&P pochi giorni fa.
«La scelta di Moody’s era attesa», è la reazione a caldo di Palazzo Chigi, consegnata ad una nota, giunta nella tarda serata. «Il governo italiano sta lavorando con il massimo impegno per centrare gli obiettivi di bilancio pubblico. Quegli stessi obiettivi che sono stati oggi accolti positivamente e approvati dalla Commissione europea». «Il declassamento è una mazzata», ribatte Pierluigi Bersani, segretario del Pd. «L’Italia è meglio di quel rating, ma se non c’è un cambiamento la sfiducia rischia di tirarci a fondo».
Va giù duro anche Diego Della Valle, il patron di Tod’s che sabato scorso aveva pubblicato sui principali quotidiani italiani il manifesto-inserzione “Politici, ora basta”. «La borsa non sarà  felice e così si blocca il termometro dell’ottimismo che già  è scarso», ha commentato a caldo l’imprenditore marchigiano, durante la diretta di Ballarò su Raitre. «E’ una notizia che non migliora la nostra condizione e rende ancora più urgente una squadra di governo competente che domattina e non tra due mesi, si riconosca in tutti gli schieramenti politici e si metta al servizio del paese per risolvere in questo anno le emergenze per poi andare al voto».

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