ANCHE GLI INSETTI NEL LORO PICCOLO FORMANO SOCIETà€

by Sergio Segio | 24 Ottobre 2011 6:38

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Prendiamo una colonna di formiche legionarie africane, milioni di insetti che si muovono come un sol uomo, quasi realizzando l’immagine del frontespizio del Leviatano di Hobbes. Come è possibile? Sono un corpo senza testa, uno zombie? No, sono un superorganismo, cioè una colonia di individui che si organizza da sola, opera una divisione del lavoro, si struttura in classi, comunica al proprio interno. Il tutto con un palese vantaggio evolutivo, di cui sono dimostrazione gli uomini e le formiche. I primi contano 6,6 miliardi di individui, le seconde addirittura tra 1 e 10 milioni di miliardi (e calcolando che un uomo pesa in media da 1 a 2 milioni di volte più di una formica, formiche e uomini hanno approssimativamente la medesima biomassa).
Ecco l’oggetto di Il superorganismo (Adelphi, traduzione di Isabella Blum), un libro grande per mole e contenuti di due illustri naturalisti, Bert Hà¶lldobler (tedesco, 1936) e di Edward O. Wilson (americano, 1929, fondatore della sociobiologia), già  noti al pubblico italiano per un bestseller del 1997, Formiche. Il debole per le formiche è palese e confessato, basti dire che Wilson ha scritto un romanzo nel 2010, Anthill, cioè “formicaio”, tradotto in italiano dall’editore Elliott. Questo però non impedisce a Hà¶lldobler e Wilson di occuparsi di altri insetti sociali (tra le 2600 famiglie di insetti e altri artropodi 15 hanno raggiunto il livello del superorganismo, basti pensare alle api), e persino dell’eterocefalo glabro, una specie di talpa senza pelo, rosa e spaventosa, che vive in cunicoli scavati nei deserti dell’Africa orientale. Unico esempio di superorganismo tra i vertebrati, insieme all’umanità , che però è un caso anomalo, visto che la cultura umana evolve molto più rapidamente e gli uomini sono dotati di ragione e di introspezione, anche se non sempre se ne servono.
Il superorganismo è una specie di organismo ingrandito, le cui componenti elementari sono riconoscibili a occhio nudo. Qui si tocca una vecchia intuizione che attraversa la storia del pensiero da Platone a Leibniz: da una parte, il microcosmo, l’individuo, è la rappresentazione del macrocosmo ma, dall’altra, il macrocosmo si presenta come un grande organismo. Tranne che nei superorganismi la metafora si applica alla lettera: al posto delle cellule ci sono i membri della colonia, al posto degli organi le caste, al posto dei sistema immunitario i soldati, la circolazione è rappresentata dalla distribuzione sociale del cibo e, soprattutto, al sistema nervoso corrispondono la comunicazione e le interazioni fra i membri della colonia. Rispetto all’organismo ordinario, tuttavia, il superorganismo rivela un vantaggio decisivo, giacché in certi casi sfiora il sogno dell’eternità : ad esempio, le colonie di formiche senza regina sono pressoché immortali, ossia evolvono ininterrottamente da milioni di anni.
Proprio per questo il superorganismo ci parla anche della genesi della società , anche qui d’accordo con una intuizione antica, quella che ha visto in api e formiche modelli di organizzazione sociale. Se guardiamo a un termitaio attuale ci troviamo appunto di fronte al risultato di un processo evolutivo che proviene da sterminate antichità . Più di 110 milioni di anni fa le formiche alterarono la rete dei geni, fu dunque possibile produrre una casta di operaie senza ali, ed è lì, nel Cretaceo, e con un processo che non si è ancora concluso, che ebbe inizio l’ascesa delle formiche. Del pari, la “danza scodinzolante” con cui le api indicano distanza e posizione del polline non è caduta dal cielo, ci deve essere stata una lunga transizione dai primi segnali di allerta al repertorio altamente ritualizzato delle api domestiche contemporanee. Questo ingresso della storia nella natura si manifesta attraverso modificazioni genetiche e si rafforza con trasformazioni del comportamento che dipendono dalla comunicazione (che nel caso degli insetti è per il 90% chimica e olfattiva) e da qualcosa che sembra l’antenato della cultura, cioè il progressivo affinarsi delle leggi che regolano il funzionamento del superorganismo.
Ma c’è un aspetto che gli antichi non avevano anticipato, e che costituisce a mio parere un corollario cruciale di questo libro. A lungo gli insetti sociali sono stati considerati come la prova di un disegno intelligente, dell’operato di un Grande Architetto che si manifesta per esempio nella organizzazione efficiente e gerarchica degli alveari, nella razionalità  delle celle esagonali, nella inventività  gotica di certi termitai che ricordano la Sagrada Familia di Gaudà­. Da cosa dipende? Con una impostazione radicalmente darwiniana Hà¶lldobler e Wilson capovolgono il problema. Nessun insetto “pensa” o ha delle rappresentazioni (tra le caste abbiamo le regine, i guerrieri, le operaie, ma nessun sacerdote o altro maà®tre à  penser). Tuttavia, l’insieme delle loro interazioni regolate e specializzate produce quello che a tutti gli effetti è un comportamento sofisticato che avviene senza che ci sia alcun bisogno di postulare un disegnatore supremamente intelligente. Perché qui il disegno intelligente non è il presupposto, ma il risultato.
A questo punto, chiuso il libro e confrontando le riflessioni sul superorganismo con la teoria darwiniana della mente proposta da Daniel Dennett, potremmo chiederci: non è esattamente la stessa cosa per il cervello umano? Proprio come le formiche (o come le memorie dei computer), i neuroni non “pensano”, ma “scaricano”. Eppure il loro insieme è la coscienza e il pensiero. Tanto nel superorganismo quanto nella intelligenza artificiale e in quella naturale si verifica un medesimo processo, per cui l’organizzazione precede e produce la comprensione. Ovviamente, si potrebbe opporre che la nostra mente è quella che è grazie all’azione di un qualche homunculus che pensa dentro di noi, o di un qualche disegno supremo. Ma allora dovremo anche tornare ad ammettere che quello spirito supremo regola il funzionamento di un termitaio. Si può fare, ma a un costo molto elevato.

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