Anarchici, No Tav e ultras il melting pot dei 12 arrestati e uno su quattro è minorenne

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ROMA – Un mattinale di questura non è lo specchio del mondo. Ma quello di ieri, domenica 16 ottobre, è un lacerto su un sabato di odio. I “neri” in arresto sono dodici (oggi in Tribunale a Roma, l’udienza di un gip dovrà  convalidarli o meno), mentre 11 hanno lasciato la questura nella notte precedente, denunciati a piede libero per «resistenza aggravata» e «possesso di armi improprie atte a offendere». Piccoli numeri per “piccoli reati”, certo. Che tuttavia documentano qualche storia. E qualche data di nascita. Che raccontano, tanto per cominciare, che cinque di questi ragazzi e ragazze non hanno ancora 18 anni (sono stati tutti rilasciati). Mentre la memoria politica della generazione cui appartengono i maggiorenni (tra i 20 e i 30 anni) ha conosciuto a stento la Prima Repubblica e il suo crollo.
I romani sono molti. E chi non vive in città , arriva dalla sua cintura urbana. Dalla solitudine disperante e sociopatica delle sue periferie. Alessandro V. e suo fratello gemello Giovanni (30 anni) sono di Ienne, un quadrante di case popolari oltre Tor Bella Monaca, chiuso tra la Casilina e Torre Gaia. Giuseppe C. (21 anni) vive ad Ardea, la lingua di cemento che senza soluzione di continuità  allunga Roma a sud Ovest, verso il litorale Pontino. A poca distanza da Pomezia dove, sabato mattina alle 11, i carabinieri fermano una 600 verde su cui viaggiano un uomo e tre ragazze. La macchina, intercettata da una pattuglia dei carabinieri, è diretta a Roma. Prova ad abbozzare una fuga. Che finisce subito. Dal bagagliaio della seicento, saltano fuori cinque zaini con quattro caschi da motociclista, dieci maschere antigas con i filtri montati, cinquecento biglie di vetro e una grande fionda per tirarle. E ancora: quattro mefisti neri, quattro parastinchi, due mazzette da muratore, un piede di porco, «quattro bottiglie – annota il verbale di sequestro – con liquido bianco, la cui natura è da accertare».
L’uomo alla guida si chiama Pierfelice P. e non è esattamente un ragazzino. Ha 40 anni e vive a Rovereto (provincia di Trento). La sua storia di anarco-insurrezionalista è antica e lunga, come i suoi precedenti di polizia («porto d’arma impropria, violazione delle disposizioni di ordine pubblico, devastazione e saccheggio, oltraggio») e la sua condizione di «sottoposto a misura di prevenzione». Accanto a lui, in macchina, siede la sua compagna. Si chiama Federica R., ed è di 9 anni più giovane. Anche la sua foto segnaletica è da anni negli schedari della polizia di prevenzione e del Ros dei carabinieri. Anche lei è anarchica da sempre. Da quando, nel 2001, cominciano le annotazioni al terminale del Viminale. È accusata di reati di un qualche peso («associazione con finalità  di terrorismo, propaganda e apologia sovversiva, associazione a delinquere, adunata sediziosa, stampa clandestina»). Ed è imputata a Perugia in un processo in cui risponde del piano che, due anni fa, avrebbe dovuto paralizzare la rete dell’Alta Velocità . Un gancio d’acciaio deposto con una canna da pesca sulla linea elettrica della Roma-Orte, da far trascinare dal pantografo dei treni in corsa lungo la linea, per tranciarne l’alimentazione.
«Federica non è una qualunque», racconta uno dei carabinieri che su di lei ha lavorato in questi anni. «Ha testa». Come ce l’hanno le amiche che le siedono accanto nella seicento. Chiara Z., 39 anni, marchigiana di san Benedetto del Tronto, e Caterina C., sarda di Bari Sardo (Nuoro), 41 anni. Anarco-insurrezionaliste come lei. La prima (Chiara) – si legge ancora nei brogliacci di polizia – ha «precedenti per adunata sediziosa, rissa, violazione delle disposizioni su riunioni in luogo pubblico». Caterina frequenta la redazione di “Radio Onda Rossa” e ha già  conosciuto le questure per le occupazioni cui ha partecipato.
Sabato, Pierfelice, Federica, Chiara e Caterina, non riescono a raggiungere Roma con il loro “carico”. Ma per una macchina – la loro – che viene fermata, altre decine entrano in città . Lo prevede il piano di mobilitazione che i “neri” hanno scambiato in rete (ed è in rete, non a caso, che ora gli addetti alla sicurezza del Viminale dicono di aver concentrato queste prime battute della loro inchiesta). Quel piano che a Roma, in piazza san Giovanni prima e in questo mattinale, poi, fa incrociare storie di chi arriva da lontano. Come Valerio P., 21 anni, salentino di san Pietro Vernotico (provincia di Brindisi). Una residenza ufficiale a Lecce, dove vive la famiglia e una stanza a Bologna, dove frequenta l’università . Raccontano che quando torna a casa frequenti il centro sociale “Caos”, che bazzichi la curva degli ultras del Lecce. Che lo conoscano in parecchi. Non come Giovanni C., un anno più vecchio di Valerio, pugliese come lui, ma di Terlizzi (Bari). Gli agenti del commissariato Prati lo arrestano in piazzale Appio, non lontano da san Giovanni e quando lui si siede sulla sedia del commissariato comincia a raccontare una storia che con la Puglia non ha più a che fare da tempo. Da quando ha scelto di andare a vivere a Barcellona. In Italia – racconta Giovanni a chi lo ha arrestato – “scende” quando c’è da fare la “guerra”. Come sabato.


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