Altro addio di Fiat, via dall’Anfia Marchionne: “Resteremo italiani”

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TORINO – Dopo Confindustria, anche l’Anfia. Marchionne esce dall’associazione che un tempo riuniva i costruttori italiani dell’auto e che dagli anni ‘80 rappresenta le aziende della filiera perché di costruttori ne era rimasto uno solo. Novantanove anni e sette mesi dopo la sua fondazione a Torino, l’Anfia perde dunque il socio fondatore e con quello una parte importante della sua ragion d’essere. Il fatto è soprattutto simbolico perché Anfia è un’associazione di categoria di Confindustria: la scelta di uscire è conseguenza della rottura con viale dell’Astronomia. All’assemblea dei soci, l’ad del Lingotto spiega: «In Italia stiamo facendo tutto ciò che è necessario per diventare più efficienti, per liberarsi da vincoli che in un’economia di mercato non sono che freni allo sviluppo. In questa chiave va letta la nostra decisione di uscire da Confindustria e, di riflesso, dall’Anfia».
Mossa dovuta. Come previste sono le conseguenti dimissioni di Eugenio Razzelli, ad di Magneti Marelli, dalla presidenza dell’associazione. Del resto il Lingotto rappresenta il 60 per cento degli associati ad Anfia e inevitabilmente l’uscita di scena di Torino finirà  per produrre un effetto domino che snaturerà  l’associazione stessa. Il socio più grande rimarrà  Pirelli. Marchionne, dopo aver risparmiato i 5 milioni di euro dell’iscrizione all’associazione presieduta da Marcegaglia, finirà  per tagliare dai bilanci anche la quota associativa di Anfia.
L’ad del Lingotto trascorre la giornata a Roma per rassicurare sulle intenzioni del gruppo di Torino: «Tengo a fare chiarezza – dice all’assemblea dell’Anfia – perché sento spesso raccontare di una Fiat che vuole diventare americana. Chi lo dice sarà  più tranquillo sapendo che, all’altra parte dell’oceano, c’è chi muove un’accusa uguale e contraria. Mi spiace deludere entrambi». La Fiat dunque «custodirà  le sue radici italiane». Al ministro dello Sviluppo, Paolo Romani, e ai sindacati del “sì” (Fim, Uilm, Fismic e Ugl) che hanno firmato il contratto separato di Pomigliano, Marchionne spiega gli impegni futuri. L’ad dipinge un quadro del mercato ancora preoccupante. Non più nella parte nera della crisi, ma certo non lontano dal suo epicentro. Per spiegare il concetto, cita uno dei suoi autori preferiti, Bruce Springsteen: “Halfway to heaven and just a mile out of hell”, a metà  strada verso il paradiso e solo a un miglio dall’inferno. Poi conferma che «nel 2014 Fiat e Chrysler produrranno 5,9 milioni di auto». Ai sindacati aggiunge che a Miraifori verranno realizzati i modelli sulla nuova architettura del segmento B. Si partirà  a fine 2013 (quando si spera che il mercato si riprenda) con il suv a marchio Jeep. Quello con il marchio Alfa verrà  invece realizzato sull’architettura più grande, quella del segmento C che inizialmente era prevista a Mirafiori e che invece, per ragioni tecniche, finirà  negli Usa. A Mirafiori verranno costruite anche l’erede della Mito e tutte le Alfa di piccola cilindrata. I sindacati del “sì” si sono detti soddisfatti e hanno chiesto che il contratto di Pomigliano venga esteso a tutti gli stabilimenti, creando un contratto nazionale del gruppo Fiat. Una scelta che, in attesa del pronunciamento della Cassazione sulla sentenza che giudica quel contratto antisindacale, finirà  per escludere la Fiom da tutti gli stabilimenti a partire dal primo gennaio prossimo. Duro il commento del leader Fiom Maurizio Landini: «Quelle di Marchionne sono solo chiacchiere». Oggi Landini terrà  le assemblee a Mirafiori.


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