by Sergio Segio | 30 Settembre 2011 13:33
La morte di al-Awlaki è stata annunciata questa mattina dal ministero della Difesa yemenita, che ha specificato come assieme al predicatore siano morti anche numerosi suoi fedelissimi, senza specificarne il numero. Non è la prima volta che le autorità yemenite annunciano la morte del leader, scampato a un attacco con droni Usa già nel maggio scorso. Questa volta, però, secondo fonti tribali citate dalla Reuters, la morte di al-Awlaki sarebbe confermata.
Al-Awlaki si ritaglia un posto al sole nella galassia del fondamentalismo islamico con il caso di Nidal Hasan, maggiore dell’esercito degli Stati Uniti, che ha aperto il fuoco contro i suoi commilitoni nella base militare di Fort Hood, in Texas, uccidendone tredici, il 5 novembre 2009.
Per l’inchiesta Usa, è stato al-Awlaki – via mail – a ‘preparare’ spiritualmente Hasan all’azione. Sempre a lui viene accreditata la formazione spirituale dell’attentatore di Times Square, il cittadino con doppio passaporto pakistano e statunitense che ha tentato una strage nel cuore di New York con un’autobomba. Ancora al-Awlaki, per il governo Usa, è responsabile della formazione di Umar Farouk Abdulmutallab, studente nigeriano, che a Natale di due anni fa ha tentato di far esplodere il volo Amsterdam – Detroit.
Un curriculum di tutto rispetto. Al quale, forse, va aggiunto anche il tentato attentato a un club ebraico di Chicago. A luglio 2010, gli Usa hanno inserito al-Awlaki nella lista dei ricercati.
Da quel momento la cacia dei droni Usa, nella regione dove l’intelligence statunitense riteneva si nascondesse al-Awlaki, si è fatta intensa. Durante la visita del generale David Petraeus in Yemen, nel gennaio 2010, al-Awlaki era stato il centro della discussione. L’Arabia Saudita, da tempo, allertava Washington sulla crisi del regime di Abdullah Saleh, presidente dello Yemen, e sull’incapacità di quest’ultimo di controllare la lenta e inesorabile penetrazione di al-Qaeda in Yemen.
Oggi la ‘carriera’ di al-Awlaki è finita. Ma restano tutte le perplessità sull’amministrazione Usa, che da Bush a Obama sembra solo aver cambiato tattica, continuando a violare i diritti di qualsiasi imputato. Con l’aggravante, rispetto a Obama, che al-Awlaki era un cittadino Usa. Nato e cresciuto negli stessi Stati Uniti, dove suo padre aveva vinto una borsa di studio per un master in New Mexico. Al-Awlaki, in possesso anche di passaporto Usa, ha studiato da teologo e ha cominciato a predicare. Tornato in patria, nella provincia di Shawba, si è sempre più radicalizzato.
Il presidente Usa Obama, secondo un’inchiesta del New York Times e una del Washington Post, ha autorizzato i corpi speciali statunitensi ad assassinare al-Awlaki. Una vecchia conoscenza del Pentagono, visto che poche ore dopo gli attentati a New York e Washington dell’11 settembre 2001, venne organizzata una cena nella sede del Dipartimento della Difesa Usa con una serie di imam e di musulmani statunitensi, nel tentativo di recuperare i rapporti dopo le improvvide uscite dell’allora presidente Usa George W. Bush. Al-Awlaki, a quella cena, è stato invitato. Ora è morto e, come Osama, non potrà più raccontare nulla.
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