by Sergio Segio | 28 Settembre 2011 5:57
La torta delle agevolazioni vale più di 100 miliardi di euro all’anno e si compone di un variegato insieme di deduzioni e detrazioni. La torta dell’assistenza vale circa 60 miliardi di euro fra indennità e sussidi a base non contributiva: pensioni sociali, indennità di accompagnamento, integrazioni al minimo e così via.
I due comparti riflettono una stratificazione storica di leggi e leggine spesso varate solo per compiacere questa o quella categoria. Vi sono dunque ampi margini per una razionalizzazione distributiva capace di contribuire nel breve periodo anche al risanamento del bilancio. Quale criterio seguire per una simile operazione?
In Europa il principio ispiratore delle riforme in questo settore è il cosiddetto «universalismo selettivo». Tutti i cittadini devono poter accedere a prestazioni ed agevolazioni sociali e fruire di trattamento uguale per situazioni uguali. L’universalismo deve però essere accompagnato da chiare regole di selezione in base al bisogno e in particolare alla mancanza di reddito. L’assistenza sociale e in buona parte anche il welfare fiscale si giustificano solo nella misura in cui aiutano chi non ce la fa con i propri mezzi: è proprio la solidarietà nei confronti dei più vulnerabili che legittima l’utilizzo del gettito fiscale (quello che gli scandinavi chiamano il «tesoro comune») senza contropartite contributive da parte dei beneficiari.
Com’è tristemente noto, nel nostro Paese ottenere un qualche sussidio in caso di povertà è una vera e propria lotteria: dipende dal comune di residenza, dalla discrezionalità degli uffici, dalla condizione occupazionale, dall’età e spesso dalle semplici «conoscenze». Invece di universalismo abbiamo il particolarismo, spesso di marca clientelare. Per chi è povero, il sistema delle agevolazioni fiscali è completamente irraggiungibile: non dichiarando reddito, gli indigenti sono tagliati fuori dalla spartizione della torta da 100 miliardi. Laddove è prevista, la selettività in base alle risorse economiche dei beneficiari segue regole diverse e incoerenti a seconda delle prestazioni (il tutto senza contare l’evasione). Una situazione che produce vere e proprie assurdità distributive: il 24% delle pensioni sociali e il 34% degli assegni familiari finiscono nelle tasche della metà più ricca della popolazione.
Una seria riforma in direzione dell’universalismo selettivo non può che partire da misure sottrattive, che sopprimano agevolazioni immotivate e concentrino le risorse disponibili verso chi ha veramente bisogno. Certo, le misure sottrattive dovranno andare di pari passo con la lotta all’evasione e con misure fiscali che accrescano la progressività e l’equità del prelievo.
Come procedere? Sul tappeto ci sono già analisi e proposte molto approfondite. Presso il ministero dell’Economia ha concluso i lavori una commissione sulle agevolazioni; l’Istituto per la ricerca sociale di Milano presenterà domani un articolato progetto sull’assistenza sociale. Ciò che serve è un coraggioso lavoro politico di mediazione, comunicazione, persuasione. Senza riforme possiamo scordarci il pareggio di bilancio e continueremo ad avere un welfare generoso con i forti e quasi assente per i deboli.
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