Usa e ambiente, tagli al futuro

by Sergio Segio | 27 Settembre 2011 16:29

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Obama doveva essere da svolta. Qualcuno nel 2008 l’aveva definito il presidente verde. Certo nonostante il supporto al nucleare e il via libera alle trivellazioni in Alaska ha firmato nuove importanti regolamentazioni per gli standard energetici, l’efficienza dei trasporti e la protezione dell’ambiente. Pezzi, più che altro di una legislazione quadro che non è mai decollata. Obama ha spinto più volte per l’approvazione al Congresso di un Climate bill, annacquato in un American Climate Energy and Security act, con molte concessioni su nucleare, gas naturale ed infine ridotto ad Energy bill, aperto anche alle trivellazioni offshore in Alaska. Ma al congresso statunitense la parola Clima e cambiamento climatico non è mai stata apprezzata, specie nelle file repubblicane, che nel 2010 hanno ropreso il controllo della Camera.

”à‰ la nuova fobia”, spiega una fonte che ricopre un ruolo nelle commissioni ambiente a Capitol Hill. ”Dici clima e tirano in ballo ogni ragione possibile per denigrare la scienza climatica: falsità , truffa, manipolazione”.
Basta riascoltare i dibattiti per le primarie repubblicane. Rick Perry, il governatore del Texas candidato alle primarie presidenziali ha definito la climatologia una falsa scienza, Michele Bachmann ha dichiarato apertamente guerra all’agenzia per la Protezione dell’Ambiente (Epa). ”Porremo termine a questo regno di terrore”, ha dichiarato la candidata del Minnesota, a riguardo delle regolamentazioni Epa su inquinamento dell’atmosfera e delle acque ”responsabili della distruzione di migliaia di posti di lavoro”.

Per Rick Perry ”il fenomeno è una grossa bufala”, mandando al diavolo Nasa, IPCC e tutta la scienza.
Al punto che nel suo entourage ha scelto come esperto ambiente Bryan Shaw, un ingeniere della Texas A&M University, uno dei più noti climanegazionisti. Meglio Dio, per proteggere il suo Texas devastato da una delle peggiori siccità  della storia, ha indetto dei Giorni di Preghiera, per far tornare la pioggia.
Persino il moderato Romney, che più volte ha ammesso che il clima ”si sta effettivamente riscaldando” ha ribadito che non ha intenzione di sprecare miliardi di dollari per combattere un fenomeno di cui non si ha certezza.

Il nuovo obbiettivo dei repubblicani secondo vari intervistati appartenenti a think tank e lobby ambientaliste di Washington, sono ora proprio i negoziati per il clima e una serie di iniziative delle Nazioni Unite per rallentare il global warming. Nemmeno Bush aveva tagliato fondi per la ricerca e negoziati. Ora per Tea Party e super conservatori “il carrozzone del clima” deve essere fermato. E questi cowboy climanegazionisti potrebbero riuscirvici.

Secondo un’analisi svolta dall’autore delle risorse da decurtare nel 2012 emerge che potrebbero essere eliminati dal budget i fondi per il Panel on Climate Change (IPCC), la tavola internazionale di studiosi del clima indebolendo la forza dell’istituzione scientifica. A cadere sotto la scure subito dopo sarebbe la UNFCCC, il framework ONU dove si sta cercando di negoziare un trattato – o quantomeno un accordo – internazionale sul cambiamento climatico, regolando le emissioni di gas serra e promuovendo lo sviluppo eco-sostenibile nei paesi in via di sviluppo. Gli Usa, che da Copenhagen[1] hanno impresso, d’imperio, le direzione del negogaziato da soli contribuiscono al 14 percento del totale del budget gestionale da 35 milioni di dollari della convenzione quadro Onu. Sebbene non chiedano un’estensione ed un’approvazione universale di una nuova fase del trattato di Kyoto, ad oggi il loro contributo era servito a tenere in piedi il processo negoziale.

La sorte dei taglio dei fondi all’Onu e all’IPCC è legata ad un emendamento presentato dal congressman repubblicano della Florida, Connie Mack , dopo essere stato approvato in subcommissione stanziamenti pubblici. L’obbiettivo, spiega il suo ufficio stampa, è ”eliminare ogni fondo Usa per attività  ed iniziative a livello globale contro il cambiamento climatico. Inoltre con le imprese statunitensi indebolite dalle regolamentazioni ambientali esistenti, è tempo che altri paesi facciano la loro parte per migliorare il clima, togliendo il fardello agli Usa”. La sorte dell’emendamento rimane sconosciuta.

Ancora più grave sono i tagli – per ora ancora ipotetici – al budget al Dipartimento di Stato Usa, a cui appartiene il team di negoziatori sul clima, capitanato da Todd Stern.
Mentre a dicembre a Durban ci sarà  il diciassettesimo incontro delle parti riunite nel framework UNFCCC, in Usa c’è preoccupazione nei corridori di Foggy Botton per avere le risorse necessarie per proseguire il lavoro iniziato con il Copenaghen Accord. Il Dipartimento non ha rilasciato commenti all’autore, ma come è emerso da alcune conferenze stampa c’è preoccupazione per i tagli al budget per i progetti di cooperazione e sviluppo agli Esteri, che includono anche i negoziati sul clima, anche se non nell’immediato futuro.

Tra le varie riduzioni alla spesa proposte delle più rilevanti potrebbero essere per il Climate Investment Funds, e i finanziamenti al Global Environmental Facility. Il primo è il fondo di sviluppo per promuovere progetti low carbon in 45 paesi in via di sviluppo sovrainteso dalla Banca Mondiale e parte delle strategie di carbon finance. Questi finanziamenti permettono a paesi con scarsi capitali di creare progetti a grande scala nel solare e nell’eolico, prevenire la deforestazione e sviluppare strategie di resilienza ed adattamento ai cambiamenti climatici. Il secondo, il Global Environmental Facility venne creato vent’anni fa durante la presidenza di George H.W. Bush per aiutare i paesi in via di sviluppo nella realizzazione di strategie per la conservazione ambientale. Il budget di Obama del 2012, a causa delle pressioni repubblicane dovrebbe ridurre i finanziamenti da 143.7 milioni di dollari a 70 milioni di dollari.

Per il momento non è dato sapere cosa succederà  per il super fondo Green Climate Fund, proposto al negoziato di Copenaghen e creato a Cancun nel 2010, che dovrebbe raccogliere fondi dai paesi industrializzati per movimentare almeno 100 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020. Né tantomento per la sua versione fast start, che dovrebbe movimentare entro la fine del 2012 almeno 30 miliardi. Al momento quasi nessuno ha allocato le risorse, inclusi gli Usa, che però, nel momento in cui venissero meno ai propri impegni economici potrebbero far arruffare le penne a numerosi uffici negoziali. Se infatti venissero a meno i fondi statunitensi per progetti low carbon in paesi in via di sviluppo da allocare nel Green Climate fund, vari stati potrebbero lasciar fallire il negoziato.

L’emendamento di Mack e i tagli al Dipartimento di Stato hanno suscitato una serie di reazioni rabbiose da parte di ambientalisti e congressman. ”Un oltraggio. non possiamo metterci da parte e perdere il nostro ruolo”, spiega Jake Schmidt, dell’associazione ambientalista Natural Resources Defense Council, ”sono tempi difficili, ma tagliare questi fondi non servirà  ad salvare le nostre sorti”.

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Endnotes:
  1. Copenhagen: http://it.peacereporter.net/articolo/19405/Copenaghen%3A+Banca+Mondiale+e+il+business+del+clima

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2011/09/usa-e-ambiente-tagli-al-futuro/