by Sergio Segio | 30 Settembre 2011 6:19
Viviamo in quella che ha Farhad Manjoo ha battezzato «società postfattuale»: non abbiamo solo opinioni diverse, ma viviamo in mondi diversi, perché il diluvio di dati e statistiche ci permette di selezionare le notizie che confermano i nostri pregiudizi. Alcune persino false, ma il fact-checking è un esercizio così raro che difficilmente verranno smentite. L’università non fa eccezione. Eppure, grazie al web qualcosa potrebbe cambiare.
Primo esempio: il 22 agosto scorso, La Repubblica lancia l’allarme. Italia maglia nera d’Europa: dopo anni di crescita, tra il 2008 e il 2009 la produzione scientifica italiana ha subito un tracollo del 20%. La fonte sembra autorevole: un articolo scientifico intitolato «Is Italian Science declining?» scritto da Cinzia Daraio, ricercatrice dell’università di Bologna, e di Henk Moed, senior advisor della casa editrice Elsevier. Tra l’altro, la Daraio è allieva di Andrea Bonaccorsi, uno dei maggiori esperti italiani di valutazione e membro dell’Agenzia Nazionale per la Valutazione della Ricerca (Anvur). La Repubblica legge il crollo come un effetto dei tagli imposti da Tremonti e Gelmini. La notizia, però, è una bufala. Nel mio blog www.univeritas.wordpress.com dimostro, dati alla mano, che l’errore deriva dall’avere interrogato il database degli articoli scientifici del 2009 nella prima parte del 2010 quando gli archivi erano ancora incompleti. Chi dovrebbe reagire non lo fa. La Repubblica non rettifica e, a distanza di un mese, né il Ministro Gelmini né l’Anvur hanno commentato o smentito la notizia del crollo. Nella nuvola di fatti e dati non verificati, uno svarione in più non fa differenza sia per il giornalista sia per chi governa e valuta il sistema della ricerca.
È il web, bellezza!
Però, qualcosa si muove ugualmente. Posta elettronica, bloggers, facebook e twitter diffondono a macchia d’olio la notizia della bufala. In meno di 24 ore, il blog riceve più di mille accessi e l’articolo viene segnalato tra i più “caldi” di WordPress. Dopo qualche giorno, Roberto Ciccarelli sul manifesto e Pietro Greco sull’Unità denunciano l’errore di Repubblica e ne spiegano la genesi. A quel punto, Cinzia Daraio prende le distanze, facendo capire di essere stata fraintesa, senza però spiegare da dove Repubblica abbia avuto quei numeri sbagliati, ma stranamente in accordo con una delle figure del suo articolo scientifico. Dario Braga, prorettore alla ricerca dell’Università di Bologna interviene a difesa della ricercatrice e lamenta l’uso da parte del sottoscritto di mezzi di comunicazione non convenzionali.
È vero: in altri tempi, la contestazione della notizia infondata avrebbe dovuto sottostare ai tempi e alle procedure delle pubblicazioni scientifiche o ai filtri dei grandi quotidiani. Humphrey Bogart gli risponderebbe: «È il web, bellezza! E tu non ci puoi fare niente».
Secondo esempio: la settimana scorsa viene pubblicato Education at a Glance 2011, il rapporto annuale dell’Ocse sull’istruzione. Anche i dati Ocse sono spesso oggetto di travisamenti, da quelli più rudimentali ad altri assai più raffinati. Alla prima categoria appartiene il comunicato stampa del Ministero dell’Istruzione: «I dati Ocse dimostrano inoltre che, tra il 2000 e il 2008, la spesa delle scuole per ogni studente è aumentata del 6%, mentre è aumentata dell’8% per ogni studente universitario». Rispetto al testo originale dell’Ocse il comunicato dimentica però di dirci che la spesa «è aumentata solo del 6% (rispetto alla media OCSE del 34%)» e che «si tratta del secondo incremento più basso tra i 30 Paesi i cui dati sono disponibili». Education at a Glance ci avverte anche che per gli studenti universitari l’aumento della spesa media Ocse è stato del 14%.
Se letti e interpretati nella loro interezza, i dati dell’Ocse, offrirebbero spunti preziosi per capire lo stato del’università italiana. Per uscire dal circolo vizioso delle letture strumentali, nel mio blog ho usato la metafora dell’automobile per spiegare costi, risultati ed efficienza del sistema universitario. Le statistiche dicono che nel motore mettiamo poca benzina: come spesa rapportata al Pil, l’Italia è 31esima su 34 nazioni, con una spesa pari al 65% della media Ocse. Pochi i chilometri percorsi: come percentuale di laureati nella fascia 25-34 anni siamo terzultimi su 36 nazioni, ben 17 punti percentuali al di sotto della media Ocse, confermando un ritardo storico che l’università di massa non è riuscita a colmare.
La macchina consuma poco
Difficile negare questi numeri. Infatti, la partita decisiva per giustificare i tagli in nome degli sprechi, non si gioca qui ma sui consumi chilometrici, ovvero sulla spesa per studente. Questo indicatore ci vede da sempre agli ultimi posti, ma tre anni fa le nostre certezze vacillano. Nel libro L’università truccata, Roberto Perotti, economista della Bocconi, contesta i dati Ocse osservando che non tengono conto degli studenti inattivi e fuori corso. Correggendo il solo dato italiano, ottiene una nuova classifica in cui la spesa italiana per studente balza al quarto posto. Di fatto, con questa operazione viene ribaltato il senso dei dati Ocse, fornendo il supporto scientifico ai tagli degli ultimi anni. In realtà , la stessa Ocse scrive esplicitamente che le spese annuali per studente sono inconfrontabili a causa delle diverse durate degli studi nelle nazioni considerate. Per ovviare a questo problema, bisogna fare riferimento a quanto viene speso cumulativamente per ogni studente durante l’intero corso degli studi. Questo dato elimina alla radice le distorsioni dovute a studenti inattivi e fuori corso. Nella classifica di Education at a Glance 2011, l’Italia è 16ma su venticinque nazioni, con una spesa inferiore al 75% della media Ocse. Insomma, un’automobile a cui viene lesinato il carburante ma i cui consumi chilometrici sono persino sotto la media.
Per smascherare le omissioni e smontare le manipolazioni ci vogliono spazio, tabelle e figure. Insomma, è qualcosa che si può fare solo in rete, unendo, se possibile, le competenze specialistiche di più soggetti. Non è facile. Tuttavia, Nicola Bruno e Raffaele Mastronardo ci hanno raccontato su Alias di come Bill Adair ha vinto il Pulitzer 2009 for national reporting proprio grazie al sito web PolitiFact, dedicato al fact-checking delle dichiarazioni dei politici americani. E in Italia? Il mondo dell’università e della ricerca potrebbe essere un buon laboratorio da cui iniziare. Il materiale non manca.
* Università di Pavia
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