Tripoli, Erdogan abbraccia i ribelli “È finito il tempo delle dittature”
TRIPOLI – Acclamato nei territori palestinesi come il nuovo paladino della lotta allo Stato ebraico, accolto da eroe in Egitto e Tunisia e punto di riferimento per le democrazie che nasceranno dalla “primavera araba”, il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha suscitato lo stesso entusiasmo anche durante la sua visita a Tripoli, la prima di un leader musulmano dopo la caduta di Gheddafi. Dal palco della piazza dei Martiri, fino a poche settimane fa piazza Verde e ieri nera di folla per la preghiera del venerdì, l’ex sindaco di Istanbul s’è detto orgoglioso di essere testimone della vittoria e dell’avvento della democrazia in Libia, «adesso che è finita l’era dei dittatori».
Erdogan ha poi reso omaggio alla memoria dei martiri che si sono sacrificati per la loro patria e la loro religione, e si è infine così rivolto ai militari lealisti che ancora resistono alle forze democratiche: «Abbracciate i vostri fratelli e unitevi agli altri libici, perché questa unione di forze favorirebbe lo sviluppo della Libia e ne farebbe uno dei migliori Paesi della regione».
Bruciato sul tempo due giorni fa dal francese Nicolas Sarkozy e dal britannico David Cameron, Erdogan s’è guadagnato il plauso dei libici proseguendo la sua visita prima nella città martire di Misurata e poi a Bengasi, dove ha visitato la tomba di Omar al-Mukhtar, leader della lotta contro il colonialismo italiano, impiccato ottant’anni fa per ordine del generale Graziani. Ovunque, il premier di Ankara, campione del “neo-ottomanesimo” e della pacifica conquista turca dei Paesi arabi del Mediterraneo, ha ripetuto ciò che aveva già detto a Tunisi e al Cairo, ossia che «Islam e democrazia possono coesistere».
Sempre ieri, il vice consigliere per la sicurezza della Casa Bianca, Ben Rhodes, ha annunciato che martedì prossimo Barack Obama riceverà il presidente del Consiglio nazionale di transizione libico, Mustafa Abdel Jalil. I due si vedranno a New York, durante i lavori dell’Assemblea generale dell’Onu, la quale ha appena concesso un seggio alla Nuova Libia (114 voti favorevoli e 17 contrari). Qualche mese fa, quando Jalil si recò negli Stati Uniti in cerca di riconoscimento internazionale, gli uomini del presidente lo accolsero benevolmente, ma un sospettoso Obama sfuggì all’incontro.
Prosegue, intanto, l’offensiva contro le ultime roccaforti del Colonnello, Sirte e Bani Walid. In mattinata, gli insorti hanno issato la loro bandiera sulla sede della tribù dei Gheddafi, nella zona di Wadi Jarf, ma sempre in periferia di Sirte. A Bani Walid, invece, dopo un’importante avanzata, le truppe delle forze democratiche hanno dovuto ripiegare dopo ore di furibondi combattimenti. La ritirata è avvenuta al crepuscolo sotto un massiccio fuoco di sbarramento delle forze rimaste fedeli al Rais. «Non risponderemo con l’artiglieria pesante perché non vogliamo colpire civili», ha spiegato un comandante militare di Bengasi. «Ma presto daremo l’ordine di tornare di nuovo all’attacco».
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