Tremonti, «missione» su Bruxelles e Berlino

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ROMA — Giulio Tremonti cerca di rassicurare l’Europa e i mercati, tornati a innervosirsi. Consegnati al Senato gli ultimi aggiustamenti alla manovra di Ferragosto, il ministro dell’Economia ha passato buona parte della giornata di ieri al telefono. Parlando con le capitali europee e, a lungo, con il commissario Ue agli affari monetari, Olli Rehn, dopo che il suo portavoce, interpellato, aveva espresso qualche perplessità  sull’eccessivo affidamento del governo alle misure contro l’evasione per far quadrare i conti. A tutti Tremonti ha spiegato che i saldi della manovra resteranno invariati, che la lotta all’evasione darà  i risultati attesi e che, tutto sommato, si sta parlando di una porzione minima dell’operazione agostana sui conti pubblici.
L’Italia, insomma, rispetterà  gli impegni presi a ogni costo, e se qualcosa andasse storto sono già  pronti i paracadute, anche se il ministro esclude categoricamente «ogni tipo di condono fiscale». Dell’eventuale aumento temporaneo dell’Iva ha già  detto Silvio Berlusconi, mentre al Tesoro, al di là  delle posizioni ufficiali, l’analisi degli accordi fiscali fatti con la Svizzera da Germania e Gran Bretagna sulla tassazione dei capitali dei loro residenti, per giunta poca cosa rispetto ai capitali italiani ancora nascosti nei Cantoni, che arriverebbero a 200 miliardi di euro, è già  un pezzo avanti.
I risultati dell’azione diplomatica di Tremonti con l’Unione Europea sono arrivati subito. Da Berlino è giunta, già  all’ora di pranzo, un’esplicita manifestazione di fiducia. L’esecutivo tedesco, ha detto il portavoce del cancelliere Angela Merkel, «ha piena fiducia che il governo italiano onorerà  le promesse». Poi in tarda serata, a rettifica delle perplessità  espresse dal portavoce, è arrivata da Helsinki anche la presa di posizione ufficiale del commissario Rehn. Con parole, addirittura, di grande apprezzamento per la scelta di inserire nella manovra nuove misure contro l’evasione fiscale.
Il contenuto della conversazione avuta dal ministro con il commissario, in ogni caso, era stato diffuso dagli stessi uffici di Tremonti. «In Italia l’evasione fiscale e contributiva è enorme e negli ultimi tre anni dal contrasto all’evasione è stata incassata una cifra pari a 25 miliardi di euro» ha detto Tremonti. Le entrate previste dai nuovi interventi inseriti nella manovra sono una frazione minima rispetto a quelle cifre. Sono «700 milioni di euro nel 2012 e 1,6 miliardi nel 2013», che tuttavia nascondono un «radicale cambiamento di strategia nel contrasto all’evasione. Non più affidata solo alla «repressione», ma anche alla «prevenzione», con il coinvolgimento dei Comuni, la trasparenza bancaria, le nuove sanzioni penali.
Con questo nuovo approccio, e considerate le cifre in ballo, «l’obiettivo di entrata non solo sarà  centrato, ma ampiamente superato» ha garantito Tremonti alla Commissione Europea. «Per il resto la manovra resta invariata e totalmente solida nei saldi di copertura» ha aggiunto il ministro. Che pensando più al futuro che al contingente, si è messo a studiare con attenzione gli accordi appena siglati con la Svizzera da Germania e Gran Bretagna sulla tassazione dei capitali detenuti nella Confederazione dai loro cittadini, che dovrebbero garantire un volume assai cospicuo di nuove entrate. Se la prospettiva è allettante per Londra e Berlino, lo è ancor di più per l’Italia. Al netto dello scudo fiscale dei due anni passati, che ha fatto emergere la bellezza di 70 miliardi di euro nascosti dagli italiani in Svizzera, nelle banche elvetiche ci sarebbero ancora da un minimo di 130 fino a un massimo di 200 miliardi euro.
Questo dicono sia le stime ufficiose dei tecnici del Tesoro ricavate dai dati in possesso delle banche centrali europee e dalle statistiche sui movimenti internazionali dei capitali, che dai contatti diretti e riservati che il governo italiano ha continuato a mantenere con l’esecutivo di Berna. Certo, Tremonti avrebbe preferito una «soluzione europea», come ha detto l’altro giorno in Senato. Ma visto che ognuno va per i fatti suoi, non si può stare a guardare. E la possibilità  di incassare una trentina di miliardi di euro adottando lo stesso tipo di accordi, perché di questo si parla, anche se buona parte sono «una tantum», non è proprio da buttar via.


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