Torture e sequestri: così Gheddafi aiutava la Cia

by Sergio Segio | 4 Settembre 2011 7:18

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TRIPOLI – Regime canaglia o meno, la Libia di Gheddafi collaborava attivamente con i servizi segreti dell’Occidente. Agli uomini di Tripoli toccava, manco a dirlo, il lavoro sporco: il «trattamento energico» dei sospetti terroristi. In parole povere, la tortura. La Libia faceva parte del programma delle «rendition», il sequestro e la consegna dei sospetti a governi le cui mani erano meno legate dalla normativa sui diritti umani. Oltre alla Libia, gli Usa hanno adoperato questo sistema con il Pakistan, l’Egitto, e altri, comprese appunto nazioni con cui i rapporti restavano difficili. Secondo Peter Bouckaert, di Human Rights Watch, il piano consisteva nel consegnare i sospetti membri di Al Qaeda perché fossero torturati per strappargli informazioni richieste. La collaborazione con i fedelissimi del colonnello, sia da parte della Cia che da parte dei colleghi britannici dell’Mi-6, era iniziata dopo il 2004, l’anno della rinuncia libica alle armi non convenzionali. Anzi, secondo una serie di documenti scoperti nell’ufficio di Moussa Koussa, capo dei servizi libici, gli agenti di Sua Maestà  erano pronti persino a fare intercettazioni telefoniche per conto degli amici libici: molto probabilmente per controllare i dissidenti libici rifugiati nel Regno Unito.
I documenti sono stati scoperti da Human Rights Watch. Tra questi ci sarebbe anche la bozza di una proposta di discorso di rinuncia alle armi non convenzionali scritto dagli 007 occidentali per il raìs. Per ora non ci sono garanzie sulla loro autenticità . La Cia non conferma, ma Jennifer Youngblood, portavoce dell’agenzia, ha detto al New York Times che «non dev’essere una sorpresa che l’agenzia collabori con governi stranieri per proteggere il Paese dal terrorismo e da altre minacce».
Intanto a Tripoli la situazione continua a normalizzarsi: Ali Tarhouni, membro del direttivo del Consiglio nazionale di transizione e ministro “virtuale” del Petrolio, ha presentato un comitato che garantirà  la sicurezza della capitale, formato in prevalenza da militari. In altre parole, i checkpoint sono ormai rari, i negozi riaprono e la vita riprende, anche se per ora gli approvvigionamenti restano difficili, e l’acqua manca ancora. L’ambasciata italiana resta devastata e aperta, ma sul tetto sventola di nuovo il tricolore.

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