by Sergio Segio | 22 Settembre 2011 6:19
ROMA – Negligenze nei controlli, mancate visite obbligatorie al personale, inefficienze: per questo motivo, e per i reati di epidemia e lesioni colpose, sono stati iscritti nel registro degli indagati 4 medici e due amministrativi del Gemelli e il medico di base che non ha diagnosticato per tempo lo sviluppo della tubercolosi nell’infermiera di neonatologia del policlinico. Un caso che da poco più di un mese tiene sotto pressione l’ospedale più famoso della capitale e che ha coinvolto quasi 2000 famiglie che, tra gennaio e luglio, hanno deciso di far nascere i propri bambini in quella struttura.
Finora sono quasi 150 i neonati risultati positivi al test del Quantiferon effettuato per evidenziare il contatto col bacillo. Solo una bimba nata a marzo ha, invece, sviluppato la malattia: secondo i primi risultati della consulenza disposta dalla procura, il ceppo è identico a quello dell’infermiera che si è ammalata per prima. Dati che confermano la prima ipotesi dei magistrati, l’aggiunto Leonardo Frisani e il pm Alberto Pioletti, e dei carabinieri del Nas che indagano. Sin dai primi giorni, gli inquirenti avevano avuto perplessità sul rispetto, da parte del policlinico, dei protocolli di sicurezza interna, quelli previsti sul personale sanitario.
Dubbi che ieri sono diventati iscrizioni: nel registro degli indagati è finito il nome di Costantino Romagnoli, responsabile del reparto di neonatologia del Gemelli, quello del datore di lavoro dell’infermiera, del coordinatore dei medici che dovevano effettuare le visite del personale e di due altri camici bianchi. Con loro, poi, il medico di base della donna, “colpevole”, per la Procura, di non aver saputo diagnosticare la Tbc. La donna si era fatta visitare all’inizio di luglio ma solo una radiografia toracica alla fine del mese ha evidenziato la malattia. Secondo i magistrati, però, le negligenze sono da ricercarsi nei 6 anni precedenti allo sviluppo della Tbc. La donna, infatti, era risultata positiva alla tubercolosi già nel 2005. Poi, visto che la positività non implica la capacità di contagio, aveva proseguito il suo lavoro al Gemelli, prima nel reparto di fisiopatologia respiratoria, poi da febbraio 2010, in neonatologia. Dal 2005, però, non è mai stata sottoposta a nessuno dei controlli annuali previsti forse anche perché quella positività , per i medici che la vistarono allora, sarebbe stata la conseguenza del vaccino al quale si era da poco sottoposta.
Sono ancora molte, però, le questioni aperte che troveranno risposta nella perizia che tra pochi giorni arriverà sulle scrivanie dei magistrati. Una consulenza che dovrà chiarire se «la positività equivale alla malattia», se sono state «adottate idonee terapie a scongiurare il contagio», se sono stati «effettuati controlli idonei», e quale sia stata la causa del contagio per l’infermiera.
Sui controlli al personale sanitario il Gemelli, un mese fa, quando scoppiò il caso, avvertì che la diagnosi della Tbc non rientra nell’ambito dei quelli periodici effettuati dall’ospedale: «Ci sono dei controlli condotti dai medici competenti – spiegava Filippo Berloco, della direzione sanitaria del policlinico – e in questi di norma non sono inclusi accertamenti specifici per l’eventuale diagnosi per l’infezione da Tbc». Ieri, il policlinico ha confermato «la piena disponibilità a collaborare per chiarire in tutti i suoi aspetti la vicenda».
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