Subprime, Obama fa causa a 17 banche

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NEW YORK — Le banche Usa, che a differenza di un’economia reale sempre depressa, avevano cercato di gettarsi alle spalle la crisi del 2008, ricominciando a produrre ricchi utili e a distribuire «bonus» generosi ai loro dirigenti, devono ora tornare ad occuparsi delle devastazioni da loro provocate tre anni fa nel sistema finanziario: prima i «mutui facili», poi la «gelata» del credito che fece crollare Wall Street e mise con le spalle al muro l’intero sistema produttivo.
Il governo americano ha infatti deciso «in extremis» di denunciare diciassette delle principali istituzioni finanziarie del Paese — da Bank of America a JPMorgan Chase, da Goldman Sachs alla divisione Usa di Deutsche Bank — accusandole di aver presentato ai mercati in modo fuorviante o addirittura falso l’affidabilità  dell’obbligazioni basate su mutui-casa da loro vendute al mercato. Titoli presentati come investimenti totalmente affidabili proprio mentre la «bolla» immobiliare raggiungeva dimensioni impressionanti. L’accusa verrà  formalizzata entro mercoledì (termine ultimo per il ricorso) dalla Fhfa, l’agenzia federale alla quale è affidata la supervisione di Fannie Mae e Freddie Mac, i due fondi misti pubblico-privati — di fatto nazionalizzati dopo la crisi del 2008 — che hanno fornito una garanzia pubblica per gran parte dei mutui-casa. Titoli fatti confluire in obbligazioni immobiliari poi rivenduti al mercato con gran profitto per le banche che hanno incassato commissioni principesche.
Le banche sono da tempo sotto tiro, sospettate di aver ignorato i rischi di questi investimenti pur di guadagnare sulle transazioni. E quando il valore delle obbligazioni è crollato, è toccato al contribuente intervenire attraverso il salvataggio delle banche da parte del Tesoro federale e il riacquisto delle obbligazioni «tossiche», mentre Fannie e Freddie sono state chiamate ad allargare il perimetro delle loro garanzie. Fin qui il governo federale ha speso ben 141 miliardi di dollari per mantenere le due finanziarie pubbliche a galla.
Pur avendo evitato il loro naufragio coi soldi del «taxpayer», però, finora l’Amministrazione Obama non aveva tentato di rivalersi con le banche che nel frattempo hanno ricominciato a macinare utili. Anche le Procure di mezza America che continuano a indagare sui possibili misfatti degli istituti di credito, fin qui non erano riuscite a formalizzare alcuna ipotesi di reato. Dall’inizio dell’estate, però, c’è stato un cambio di passo: Bank of America — che avendo assorbito il gigante dei mutui «subprime» Countrywide e la banca d’affari Merrill Lynch si è trovata molto esposta nel settore immobiliare — è finita più volte sotto il tiro delle «authority» federali e anche dei singoli investitori, con alcuni dei quali ha chiuso ogni disputa con un patteggiamento. Poi la Fhfa che si è rivolta al tribunale per recuperare quasi un miliardo di dollari dalla svizzera Ubs e ha annunciato un’altra raffica di denunce: quelle che stanno per essere formalizzate alla scadenza dei termini di legge. Contemporaneamente dalle Procure di molti Stati vengono segnali che sembrano indicare l’imminente presentazione di denunce nei confronti delle principali banche Usa. L’accusa è sempre la stessa: non aver avvertito il mercato che le obbligazioni immobiliari che venivano vendute erano tutt’altro che blindate, visto che si basavano spesso su mutui concessi a cittadini non in grado di fornire adeguate garanzie patrimoniali.
Le banche non hanno fin qui reagito all’iniziativa federale. Si difenderanno sostenendo di aver venduto le loro obbligazioni non a ignari cittadini, ma a istituzioni finanziarie molto sofisticate, dotate degli strumenti tecnici necessari per analizzare la qualità  di un investimento. Vari analisti indipendenti riconoscono che l’iniziativa del governo di Washington è ampiamente giustificata dalla necessità  politica di recuperare almeno in parte il denaro dei contribuenti speso per evitare il collasso di un pezzo importante del mercato finanziario, ma esprimono anche il timore che le banche, ancora fragili dopo il collasso del 2008, possano finire di nuovo alla deriva, se (come è probabile) verranno obbligate a pagare multe colossali. Col «taxpayer» che, magari, verrà  chiamato a spendere di nuovo i soldi appena recuperati dagli istituti di credito per un altro loro salvataggio.


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