Stavolta Assange ha deciso di spiazzare i «vecchi media»

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Personalità  complessa e difficile, sottoposto a forti pressioni — mediatiche, giudiziarie, politiche —, Assange ha avuto il merito di aprire una strada. Ha stracciato il pesante tessuto della riservatezza che a volte nasconde prassi inconfessabili o brutte storie. O peggio ancora illegalità . Ha fatto emergere cosa pensano i Grandi gli uni degli altri. Valutazioni e giudizi spesso impietosi quanto sinceri. Le carte di Wikileaks hanno confermato vicende già  emerse, aggiungendo dettagli importanti, e ne hanno fatto venire a galla altre.
Non tutto ciò che è segreto, però, è «cattivo». Ci sono momenti dove qualcosa va protetto. Per ragioni di sicurezza e di opportunità . Ma al fondatore di Wikileaks questo non importava e non importa. Ciò che conta è far saltare il banco. Sia il pubblico dei lettori a decidere. I giudici, in questa visione, sono i cittadini. E se le rivelazioni possono mettere in pericolo delle persone ad Assange non interessa. Una situazione che lui stesso — nella prima fase di questa storia — ha considerato. Tanto è vero che, insieme ai quotidiani con i quali ha collaborato, ha epurato la prima valanga di cablo diplomatici. Tante identità  sono state nascoste. Wikileaks ha così lanciato una «rivoluzione» parziale e controllata. C’era comunque un filtro, leggero, tra il momento dell’analisi dei documenti e la loro diffusione. Un lavoro di mediazione assegnato a un gruppo di quotidiani.
Con il passare del tempo, però, il rapporto con la stampa tradizionale è finito. Una conclusione con scambio di accuse feroci e il solito Assange pronto a prendersela con i giornalisti, colpevoli — a suo giudizio — di aver condotto una selezione «di parte» dei cablo. Una storia con molte ombre e alcuni nodi da tagliare. Con torti e ragioni da distribuire. E il caso Wikileaks, nato come l’inno alla trasparenza, si è intorbidito. I patti sono finiti, è venuta l’ora dei dispetti.
Senza perdere tempo, Assange, che si considera migliore di tutti, è allora passato alla seconda fase, mettendo in rete l’intero archivio. Un gesto clamoroso e controverso. Scontate le condanne ufficiali. Un po’ meno quelle dei suoi ex partner (i giornali) e associazioni indipendenti come Amnesty International. Esulta il popolo del web. Sotto i suoi occhi vede realizzarsi la «rivoluzione» totale. Perché come ha ripetuto più volte Julian Assange «i governi non hanno diritti, ma solo responsabilità ».


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