Sri Lanka, stato d’emergenza perenne

Loading

Un’operazione cosmetica che, come spiegato dallo stesso ministro della Giustizia Mohan Peiris, non comporterà  la scarcerazione degli almeno 12mila prigionieri politici tamil, detenuti senza formali accuse dalla fine del conflitto nel maggio 2009.

Non verranno nemmeno revocati i poteri emergenziali di esercito e polizia, né smilitarizzate le ‘zone di sicurezza‘. Tantomeno decadrà  la messa al bando di tutte le organizzazioni politiche legate all’Ltte, come le Tigri del fronte popolare di liberazione (Pflt).

Rimarranno in vigore anche tutte le norme che limitano la libertà  di sciopero e di stampa, con il loro tragico corollario di violenze para-governative contro attivisti sindacali, difensori dei diritti umani e giornalisti critici.

La revoca dello stato d’emergenza giunge alla vigilia della riunione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite che si terrà  il 13 settembre a Ginevra, nella quale verranno discusse le accuse di crimini di guerra commessi dal regime di Colombo.

Rajapaksa spera, con questa mossa, di ripulire la sua immagine per evitare l’istruzione di inchieste internazionali contro il suo regime. Ma sa bene che la comunità  internazionale, al di là  delle dichiarazioni ufficiali, non tireranno mai la corda fino a spezzarla.

Nessuno mosse un dito nel 2009 mentre 40mila civili tamil venivano massacrati dall’esercito in pochi mesi sotto gli occhi degli osservatori Onu e della Croce Rossa Internazionale. Nessuno sembra seriamente intenzionato a farlo neanche ora che quei crimini sono stati certificati dalle stesse Nazioni Unite.

Stati Uniti ed Unione Europea non vogliono arrivare a una rottura definitiva con un regime che mantiene, e manterrà  a lungo, il controllo di un Paese geo-strategicamente importante come lo Sri Lanka, sempre più propenso a passare armi e bagagli dalla parte della Cina.

Rifiutando di riconoscere i propri crimini di guerra, rigettando ogni riconciliazione post-bellica con la minoranza tamil e istituzionalizzando le politiche discriminatorie e persecutorie nei suoi confronti, Rajapaksa sta gettando i semi di una nuova guerra civile. Ma questo sembra non importare a nessuno.

 


Related Articles

Un campo di battaglia chiamato Yemen

Loading

Archeologia sotto attacco. La ricognizione è desolante: più di cinquanta i siti storici colpiti dai bombardamenti sauditi

Gheddafi è morto, ma la Libia non è ancora nata

Loading

Ucciso dai miliziani del Cnt a Sirte, città  natale del Colonnello, il rais è stato portato a Misurata

Quello che resta di quaranta anni di potere è un corpo, ferito, rigirato nella polvere. La morte di Gheddafi, dopo i dubbi delle prime ore, è confermata dal Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt), l’autoproclamato organo di governo provvisorio degli insorti libici. La Nato, per ora, non conferma. E non offre la sua ricostruzione degli avvenimenti, cosa che non chiarisce se il raid decisivo per l’uccisione del Colonnello Gheddafi abbia visto o meno protagonisti i caccia bombardieri dell’Alleanza Atlantica.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment