Senato, 165 voti favorevoli Fiducia sulla manovra
ROMA — In diretta tv, in assenza di Berlusconi e con il presidente Schifani costretto, per tre volte, a richiamare i senatori per il chiacchiericcio in Aula, Palazzo Madama vota al governo la fiducia numero 49. Grazie a 165 sì, 141 no e tre astenuti sul testo del maxiemendamento, la manovra di ferragosto da 54,2 miliardi passa all’esame della Camera, dove (salvo sorprese) sarà approvata a tempi di record.
Le polemiche non si spengono. Nel mirino di opposizioni e sindacati la decisione di porre la fiducia e le misure che Pier Luigi Bersani, leader del Pd, giudica «irresponsabili». L’Iva sale al 21 per cento, i grandi evasori fiscali rischiano il carcere, le donne nel settore privato vanno in pensione più tardi. C’è la tassa di solidarietà sopra i 300 mila euro e i Comuni, altra novità , possono stabilire aliquote dell’addizionale Irpef «differenziate esclusivamente in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge statale». Il che vuol dire che i sindaci non potranno modificare gli scaglioni delle imposte nazionali. Commenta Gianni Letta: «Il momento che attraversiamo ci vede vivere settimane difficili e amare».
Di fronte a Palazzo Madama la protesta, i tafferugli tra manifestanti e forze dell’ordine, i cori «Berlusconi vattene» e, dentro, un’altra giornata di scontro politico. Si parte in sordina, con il testo di Palazzo Chigi che arriva al mattino in un’Aula semideserta, destinata a riempirsi solo alle 18 per le dichiarazioni di voto. Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl, ha la coscienza a posto: «Abbiamo fatto il nostro dovere, le cifre della manovra sono robuste». E se la minoranza cerca i numeri per un governo tecnico, Gasparri stoppa le operazioni: «L’opposizione apra gli occhi, la crisi è mondiale. Noi vogliamo difendere la democrazia, non come qualche banchiere che ha messo a repentaglio i soldi dei risparmiatori». Il sì della Lega è scontato. Federico Bricolo polemizza con il Pd («il Paese non si salva cantando “bella ciao”») e festeggia il pareggio di bilancio in Costituzione: «Il Nord non è più disposto a pagare per gli altri». I democratici attaccano, la dichiarazione di voto del vicecapogruppo Luigi Zanda è dura, senza sconti. Descrive un’Italia «molto malata», sotto attacco perché «i mercati e i grandi banchieri internazionali sanno che le follie di Berlusconi sono un pericolo per l’Europa». Applauso bipartisan alla memoria di Mino Martinazzoli e chiusa a effetto di Zanda: «Il premier è inaffidabile, ricattabile e inavvicinabile. Cacciamo il cuoco di bordo». L’Idv è pronta e «con orgoglio» vota no alla fiducia. E così fanno l’Udc, i finiani e l’Api di Francesco Rutelli, che denuncia «un diluvio di nuove tasse». Il senatore a vita Emilio Colombo sceglie il non voto, i tre esponenti delle autonomie Thaler, Pinzger e Fosson confermano l’astensione. E Giuseppe Pisanu? L’ex ministro del Pdl, che ieri ha chiesto le dimissioni di Berlusconi, rimanda lo strappo finale e vota sì. Oggi la manovra approda alla Camera per la seconda lettura. Il Pd promette «tempi certi», ma senza fiducia. «Se la mettono — attacca Dario Franceschini — è solo per tenere unita una maggioranza in brandelli».
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