Se l’America si scopre fragile: lavoro e ripresa a «quota zero»

by Sergio Segio | 3 Settembre 2011 6:29

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« Zerocovery » è il nuovo termine coniato per descrivere un’economia, quella americana, che, anziché imboccare il sentiero di una consistente ripresa, quest’anno sta crescendo a un ritmo molto vicino allo zero mentre ad agosto, per la prima volta da un anno a questa parte, il sistema economico un tempo più dinamico del pianeta non è riuscito a creare nemmeno un posto di lavoro in più. I diffusi cali registrati ieri dalle Borse di tutto il mondo riflettono in larga misura i dati negativi sull’occupazione pubblicati ieri mattina dal dipartimento del Lavoro di Washington.
Che le cose non sarebbero andate bene lo sapevano tutti: del resto da tempo gli economisti fanno rollare i tamburi che annunciano una probabile, seconda recessione che incombe sui due lati dell’Atlantico. Ma le cose sono andate anche peggio del previsto: gli analisti avevano stimato, per il mese di agosto, una crescita di 80 mila posti di lavoro non agricoli (un dato comunque negativo perché per mantenere stabili i livelli occupazionali, considerata la crescita della popolazione Usa, servirebbero 125 mila occupati in più ogni mese). Invece il saldo è stato zero: 17 mila posti in meno nel pubblico impiego, appena compensati dai 17 mila in più del settore privato.
Si sono fermati anche i due motori — l’industria e la distribuzione commerciale — che nella pur debole congiuntura dello scorso anno avevano comunque tenuto in moto il motore dell’economia americana: oltre ai lavoratori del settore delle costruzioni, ormai ridotti al lumicino per la perdurante depressione del settore immobiliare, stavolta sono calati anche quelli del comparto manifatturiero (meno 3.000) e del “retail” (meno 8.000). A crescere è solo l’occupazione nel campo della salute. Ma, a ben vedere, nemmeno questa è una notizia positiva, visto che l’economa Usa è appesantita da un sistema sanitario costoso e poco efficiente che assorbe una quota spropositata (circa il 17 per cento) del reddito nazionale.
Un quadro piuttosto cupo che rende ancor più rilevante l’appuntamento di giovedì prossimo, quando Barack Obama annuncerà  davanti a Camera e Senato (e davanti alle telecamere delle reti nazionali) il suo piano per sostenere il mercato del lavoro nell’ultimo anno di questo suo primo mandato presidenziale. Un’iniziativa già  presa nei giorni scorsi visto che, come detto, la gravità  della situazione del mercato del lavoro Usa è ormai nota da tempo.
Ma proprio l’inizio della campagna elettorale e l’aggressività  dei repubblicani, decisissimi a riconquistare la Casa Bianca, rende tutto estremamente difficile. Del resto, con un debito pubblico ormai pesantissimo, il presidente non avrebbe comunque molte risorse da spendere. E tuttavia davanti al rischio di una nuova recessione molti economisti — non solo quelli della sinistra “liberal” — lo stanno spingendo a rischiare varando un nuovo consistente piano di stimoli. La tesi è che se ci si limiterà  a prorogare gli sgravi contributivi per i lavoratori in scadenza a fine anno e a varare pochi altri interventi correttivi, non si metterà  in moto un volume di risorse sufficiente a impedire che l’economia vada in stallo. Ma il tempo ormai gioca contro Obama e quello trascorso senza interventi ha ridotto in misura consistente i suoi margini di possibile intervento.
Oltre che dalla gravità  della situazione di fondo, il pessimismo che ieri sembra essersi impadronito dei mercati è alimentato da altri due fattori: in primo luogo il perdurante clima di forte conflitto politico a Washington che probabilmente porterà  i repubblicani a respingere qualunque piano occupazionale del presidente che comporti un impegno di spesa consistente, ad esempio nel campo delle opere pubbliche. E questo anche se i sondaggi d’opinione indicano che oggi il 68 per cento degli americani considera prioritari gli sforzi per creare nuovi posti di lavoro, mentre solo il 30 per cento mette al primo posto la riduzione del debito pubblico.
C’è poi la sensazione che, al di là  delle difficoltà  politiche, le possibilità  d’intervento sull’economia reale vadano sempre più riducendosi, da un lato per il progressivo esaurimento degli strumenti di politica monetaria a disposizione della Federal Reserve, dall’altro per il consolidarsi di una grossa quota di disoccupati ormai di lungo periodo, difficili da reimpiegare anche qualora eventuali, nuovi stimoli dovessero creare aperture inattese nel mercato del lavoro.
Una decisione presa ieri da Obama dà  l’idea di quanto la Casa Bianca sia ormai costretta a giocare in difesa: il presidente ha chiesto all’Epa, l’ente per la protezione ambientale, di sospendere l’applicazione della nuova regola anti inquinamento per l’industria chimica. Norme sacrosante ma onerose per le aziende, che potrebbero costare posti di lavoro. Un rischio che nessuno, oggi, si sente di correre.

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