Se fosse Bruxelles a battere moneta

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«Mi salvò la mia destrezza e la mia sovrumana energia: afferrai il mio codino e mi tirai su. Proprio così, amici: con la sola forza del mio braccio destro, a rischio di strapparmi il codino, mi tirai su, me e il mio cavallo che stringevo saldamente fra le ginocchia … tirai, tirai, e finalmente sentii la terra sotto i piedi. Intendo, sotto le zampe del cavallo. E questo vi dimostra l’importanza d’un codino ben fatto e robusto». Irrefrenabile, mentre scorrono sotto gli occhi gli interventi sulla rotta d’Europa, il pensiero vola alle fantastiche avventure del barone di Mà¼nchausen, al magniloquente racconto di come, facendo forza solo sui propri capelli, si tirò su dal pantano, assieme al proprio «cavallo lituano». Intendiamoci: il manifesto e Sbilanciamoci hanno il merito di aver promosso, su impulso di Rossana Rossanda, una discussione tempestiva e di valore, uno scavo salutare in territori spesso solo distrattamente evocati a sinistra e perciò aperto a sviluppi di grande momento. (…)
La nuova governance
Come può accadere che a sinistra, tutti presi dalle tumultuose giravolte della finanza globale, non si sappia o non si dica nulla su quanto è stato deciso e approvato, tra marzo e luglio, dal complesso delle istituzioni comunitarie, fino al Parlamento europeo, in materia di nuova governance europea? Proviamo a colmare la lacuna servendoci, oltre che dei testi, degli studi dedicati al tema dalla Banca d’Italia, dal Servizio affari internazionali del Senato, dall’Ispi e dal certosino lavoro sviluppato meritoriamente dalla rivista e dal sito di «Progetto Lavoro».
L’antefatto è presto detto: bisognava metter riparo, soprattutto agli occhi tedeschi, alle incertezze e ai ‘lassismi’ originari del «patto di stabilità » e soprattutto alla breccia aperta nel 2005 dalla informale decisione di Francia e Germania di sospenderne le sanzioni. Bisognava altresì mettere in campo un meccanismo più efficace e cogente dell’European financial stability facility (Efsf): il fondo con cui assistere i paesi attaccati dalla speculazione internazionale e con cui ancor oggi si è provato a prestar soccorso a Grecia, Irlanda e Portogallo. Si è decisa allora su suggerimento tedesco una piccola modifica ai Trattati, con una aggiunta all’art. 136: « Gli stati membri che adottano l’euro possono creare un meccanismo di stabilità  da attivare solo in caso di necessità  per salvaguardare la stabilità  dell’euro. La concessione di qualsiasi aiuto finanziario richiesto nell’ambito di tale meccanismo sarà  soggetta a una stretta condizionalità ». Ogni paese è impegnato a ratificare il cambiamento entro il 1° gennaio 2013, in modo da far nascere, entro l’anno e sulle ceneri dell’Efsf, la nuova creatura: l’Esm, European Stability Mechanism . Il nuovo fondo potrà  prestare assistenza tramite prestiti o eccezionalmente comprando obbligazioni sui mercati. Per operare, vi sarà  bisogno di decisioni unanimi, a fronte di minacce alla stabilità  dell’euro, ma a condizione di varare programmi di riforme strutturali e di alleggerimento dei bilanci ben precisi: insomma, una strada sicura rispetto alle traversie che hanno accompagnato soprattutto la vicenda greca. All’interno, allora, delle procedure dettate dal cosiddetto «semestre europeo» – sorveglianza preventiva dei bilanci affidata ad una task-force presieduta dal Presidente del Consiglio europeo – si avvia una forma concreta di coordinamento delle politiche economiche improntata essenzialmente a privatizzazione, flessibilità  dei rapporti di lavoro, revisione della spesa pensionistica, sanitaria e sociale in senso lato.
Per dare sostanza a questi indirizzi viene varato l’Euro Plus Pact, in cui vengono associati ai paesi dell’euro: Polonia, Lettonia, Danimarca, Bulgaria, Lituania e Romania. In esso si dettagliano i piani di coordinamento delle politiche economiche nei settori più sensibili e di riforma anche legislativa: previdenza, flexicurity, rientro dal debito pubblico e misure di freno all’indebitamento da assumere nella legislazione nazionale (quella che poi diverrà  su iniziativa di Merkel e Sarkozy la règle d’or, o legge costituzionale sul pareggio di bilancio). Sul piano generale, all’obbligo di rientro dal deficit o indebitamento netto, si affianca un rientro ferreo dai cieli del debito pubblico, calcolato al ritmo del 5% annuo sullo scostamento reale del debito pubblico dal valore di riferimento del 60% statuito nei trattati. Come se non bastasse, viene avanzata la proposta del cosiddetto Six Pack: sei misure legislative, prevalentemente rivolte a sorvegliare, indirizzare e anche sanzionare e multare la formazione dei bilanci e perciò il rientro da deficit e debito pubblico, con eventuali sforamenti. Tutte caratterizzate dalla cosiddetta regola del Reverse Mechanism (la Commissione decide anche preventivamente la sanzione o la multa, che viene sospesa solo da una decisione del Consiglio decisa a maggioranza). Quest’ultimo pacchetto di proposte, teso a trasferire l’essenza delle decisioni in materia di bilancio nelle sedi comunitarie, è stato votato – giusta l’indicazione data a marzo dal Consiglio – il 22 e 23 giugno dal Parlamento europeo. È passato con i voti del centro-destra continentale e il voto contrario della sinistra Gue/Ngl. Verdi e socialisti si sono differenziati nel voto, a volte dividendosi sulle singole misure oppure in maniera unitaria ma diversa secondo l’oggetto, con voti ora a favore ora contro. La necessità  di precisar meglio alcuni aspetti del Reverse Mechanism e alcune attribuzioni automatiche della Commissione europea hanno fatto slittare a settembre il voto finale. (…)
Sovranità  e debito
Per provare a muovere su un’altra strada, o quanto meno bloccare la deriva in corso, forse è il caso di riflettere meglio non sul «passo che manca», ma sul «passo negato», «vietato» all’Europa. Servirà  allora ripensare alle vicende parallele di Usa e Ue dell’ultimo anno, spesso a torto accomunate nel rilievo superficiale di una comune esposizione sul fronte del debito pubblico e ai capricci di una politica impazzita.
È noto lo stallo che sulla questione del tetto al debito pubblico ha a lungo appiedato la politica americana e contrapposto il presidente Obama, assieme a gran parte del Partito democratico, ai repubblicani – in maggioranza alla Camera dei rappresentanti – egemonizzati dai chiassosi Tea Party. Quella battaglia, però, ha limpidamente sottolineato le prerogative sovrane del Congresso Usa. Nell’ordinamento americano – grazie ad una legge votata non a caso quando gli Usa decidevano nel 1917 di entrare in guerra, ovvero mutavano la loro postura nel mondo – spetta alla politica, al Congresso, decidere dell’esposizione debitoria del paese, ovvero individuare lo sforzo che si vuole compiere per raggiungere determinati obiettivi (come e quanto questa libertà  debba poi oggi confrontarsi con le nuove costrizioni globali è altra questione). Nell’Ue è vero esattamente il contrario. Ogni decisione sul debito è costituzionalmente sottratta alla politica, con l’insieme dei divieti che corazzano l’euro e la Bce e li fanno muovere nel mondo. Si potrebbe elencare la sfilza infinita di paletti e divieti che sostanziano questa scelta. Ma per capirsi forse è più utile soffermarsi su un inciso relativo all’euro e alla Bce, o meglio al Sistema europeo delle banche centrali – Sebc (art. 127 del Trattato sul funzionamento dell’Unione): «Fatto salvo l’obiettivo della stabilità  dei prezzi, il Sebc sostiene le politiche economiche generali nell’Unione». Ovvero, il sistema costituzionale europeo organato dai Trattati prevede non solo che la Bce e le banche centrali siano autonome dalla politica, ma autorizza e prescrive la ‘sedizione’ del Sebc nei confronti delle altre istituzioni, nel caso le politiche economiche perseguite da queste contrastino con l’obiettivo della stabilità  dei prezzi di cui naturalmente le banche centrali sono interpreti e custodi di ultima istanza.
Rattoppi e costituenti
Rispetto a questo sistema di regole e al suo perfezionamento – rigidamente ribadito, come si è visto, nonostante i terremoti che ci investono quotidianamente – anche le possibilità  più piccole di mutamento, anche le aggiunte più modeste a «ciò che manca» – un po’ di keynesismo del tempo andato – passano per una lotta capace di conquistare spazio e respiro ad una rifondazione dell’Europa. Né è possibile pensare di ritornare al passato, fidando magari nelle forze di un risorto Leviatano o magari della lira del tempo che fu. Inutile e dannoso volgere lo sguardo all’indietro, pensare di rimettere nel tubetto il dentifricio schizzato fuori. Finiremmo, magari, fuori dall’euro e dispersi, ognuno con la propria moneta nazionale, a svalutare periodicamente il monte salari degli ultimi, per ricostruire i margini di competitività  di lor signori (e contribuire così ad una straordinaria lievitazione delle diseguaglianze interne e globali).
Siamo in Europa e con l’euro e dobbiamo andare oltre. Magari ripensando al Bancor prefigurato da Keynes: una moneta figlia della decisione politica sovranazionale e ad essa completamente assoggettata. Come il Bancor, l’euro non è solo una moneta ma il cristallo, la pietra angolare del mondo che si vuole costruire. Oggi è il cuore della Costituzione europea esistente, fatta perciò di politiche, istituzioni, blocchi sociali (assurdamente comandata – unico caso al mondo – da un fondamentalismo mercatista che esclude ogni altra possibile politica economica). Superarla significa attraversare questa Europa, questo complesso di casematte costruite ormai in un ventennio (e oltre, pensando anche alla storia e alle tappe della rivoluzione neoconservatrice). (…)
Oggi anche il rattoppo più semplice non passa se non conquista spazio rispetto all’incombenza e al peso delle ricette conservatrici e se non si pensa in termini costituenti ad una nuova Europa. Si rattoppa l’Ue, si può provare a darle un supplemento d’anima solo se si è in grado di ripensarla nelle fondamenta. Non v’è riforma possibile senza una prospettiva più ampia. Sarebbe già  utile provare a indirizzare la nostra discussione per guadagnare orizzonti, spazio e alleati a questa prospettiva. Intanto è meglio congedarsi scusandosi per lo spazio e il tempo rubati a vantare i meriti dell’ennesimo codino.
(Testo integrale su ilmanifesto.it e Sbilanciomoci.info
* docente di storia delle relazioni internazionali Università  di Bari


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