Sarkozy e Cameron a Tripoli “Il nostro lavoro non è finito”

by Sergio Segio | 16 Settembre 2011 6:57

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TRIPOLI – I libici hanno finalmente ringraziato gli altri eroi della loro guerra di liberazione, quelli che da lontano l’hanno sostenuta e che con i loro cacciabombardieri l’hanno avviata verso la vittoria. A Tripoli e poi nel capoluogo della Cirenaica, Bengasi, dove sei mesi fa sbocciò la rivoluzione contro il regime di Gheddafi, il presidente francese Nicolas Sarkozy e il premier britannico David Cameron, primi capi di Stato stranieri in visita nella Libia del dopo-Gheddafi, hanno ieri ricevuto il plauso di un Paese libero e stremato.
A Bengasi, dopo essersi affacciati dal balcone del palazzo di Giustizia, i due leader si sono anche concessi un bagno di folla nella locale Piazza Tahrir. Sarkozy ha chiesto agli insorti di non infierire sui nemici, Cameron ha invece promesso che aiuterà  gli insorti a catturare il Raìs. «Crediamo in una Libia unita, ma il nostro lavoro non è finito, perché Gheddafi costituisce ancora una minaccia», ha detto il presidente francese. «Il Colonnello aveva detto di volervi dare la caccia come si fa con i topi, ma voi avete dimostrato di essere dei leoni. Scongeleremo tutti i beni della Libia depositati nelle nostre banche affinché la vostra primavera araba diventi un’estate araba», gli ha fatto eco il premier britannico.
Nella loro visita lampo, i due leader europei rappresentavano quelle nazioni occidentali che dallo scorso febbraio, chi prima chi poi, hanno riconosciuto la legittimità  del Consiglio nazionale di transizione. Sarkozy e Cameron rappresentavano anche la Nato, che ha militarmente soccorso gli insorti bombardando i radar e i carri armati delle forze lealiste. Ma, ieri, sembrava che rappresentassero soprattutto loro stessi, i loro petrolieri e tutte quelle aziende francesi e britanniche interessate a rimettere in piedi una Libia devastata dalla guerra. A questo proposito, Sarkozy ha però voluto smentire chi ancora sostiene che fu solo per interesse che Parigi decise di inviare i suoi Rafale sui cieli della Cirenaica quando, lo scorso marzo, i blindati del Colonnello si accingevano a spegnere nel sangue la rivolta contro il regime. «Allora non abbiamo chiesto nulla al governo ombra di Bengasi, ma abbiamo agito solo perché ci sembrava giusto farlo», ha detto il capo di Stato francese.
Fatto sta che Francia e Gran Bretagna hanno ieri aperto la strada a una nuova conquista pacifica e di natura economica: l’obiettivo è anzitutto il petrolio – la Libia conta le più grandi riserve in Africa, con 44 miliardi di barili di un greggio di finissima qualità  – ma anche il mercato dei servizi. E l’Italia in tutto ciò? E’ verosimile che ieri i libici ci avrebbero tributato lo stesso omaggio che a Francia e Gran Bretagna, poiché Roma ha riconosciuto le forze democratiche di Bengasi ben prima di Londra. Ma il ministro degli Esteri, Franco Frattini, avrebbe “sfigurato” accanto a un premier e a un presidente della repubblica. Quanto al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è stata forse l’antica amicizia con Gheddafi che gli ha impedito di accodarsi alla coppia Sarkozy-Cameron.
Per il portavoce della Farnesina, Maurizio Massari, la diplomazia non è come giocare a ruba bandiera: «Andremo anche noi a Tripoli quando sarà  possibile organizzare la visita, ma non facciamo gare. Allora dovremmo dire che noi siamo arrivati prima con l’ambasciatore a Tripoli e con il console a Bengasi, ma non è questo il punto. Andare un giorno prima o un giorno dopo non significa niente». Sempre ieri è arrivato a Tripoli il nuovo ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Buccino Grimaldi, il primo a ottenere il gradimento dal Consiglio nazionale di transizione. A Sirte, intanto, città  natale del Colonnello e una delle sue ultime roccaforti, gli insorti hanno conquistato l’aeroporto. Secondo Fathi Bashaga, portavoce militare di Bengasi, «c’è ancora resistenza ma i nostri combattenti riusciranno a superarla».

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