Sarkozy al lavoro: una linea Maginot per le banche francesi

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MILANO — L’uragano è in arrivo fra tre giorni, intanto le autorità  progettano una barriera che sarà  pronta tra sei. Basta un’occhiata al valore di Borsa delle banche francesi stamattina per capire che il contagio europeo ha subito un’ennesima mutazione. Non è più solo una crisi del debito sovrano di Paesi piccoli e grandi; anche gli istituti che detengono quel debito sono ormai trattati dal mercato come oggetti tossici, mentre l’Europa è ancora una volta in ritardo nella risposta all’ultima evoluzione del virus di sfiducia che l’attacca.

Il fondo salvataggi varato in luglio non sarà  in funzione prima della fine di ottobre: non c’è niente di strano dunque se i governi che hanno più mezzi finanziari iniziano a pensare di difendersi da soli. Il Journal du Dimanche ieri ha riferito di una riunione al Tesoro di Parigi due domeniche fa per un’iniezione di capitali pubblici nelle cinque principali banche francesi: fra queste Bnp Paribas, Société Générale e Crédit agricole. Il quotidiano parla di un progetto di ricapitalizzazione ad opera del governo per circa 10-15 miliardi. Frédéric Oudéa di SocGen, l’istituto più in difficoltà  (il titolo è sui minimi da dieci anni) avrebbe accettato a condizione che l’operazione riguardi tutti, ma Baudoin Prot di Bnp avrebbe rifiutato.

Ovviamente le smentite sono arrivate da ciascuno dei palazzi parigini sfiorati dal sospetto: dal Tesoro, da ambienti vicini all’Eliseo e dal governatore della Banca di Francia, Christian Noyer. Subito dopo, il banchiere centrale ha però ricordato che in Francia è ancora in funzione il «meccanismo pubblico» creato dopo il crac Lehman per permettere agli istituti di rifinanziarsi.

Perché difficilmente le smentite possono spazzare via il dubbio che le banche, non solo in Francia, hanno bisogno di aiuto e presto. Il loro accesso alla liquidità  è garantito dalla Bce, ma il capitale di molti istituti inizia a essere troppo esiguo per sostenere bilanci a volte oltre i mille miliardi di euro. Stime non ufficiali del Fondo monetario internazionale danno già  alcune indicazioni: per portare le prime 90 banche europee al 10% di core Tier 1 (una misura di solidità  patrimoniale) occorrerebbero circa 150 miliardi di euro, mentre per la sola Francia ne servirebbero una trentina. Si tratta di cifre non enormi rispetto allo sforzo del Tesoro americano nel 2008 e 2009 per sostenere Wall Street. Il conto potrebbe poi salire di molto se davvero in Europa si verificassero default sovrani a catena: solo le banche di Parigi sono esposte per circa 500 miliardi di euro su Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia.

Ma per adesso nessuno ammette in pubblico questa vulnerabilità  e i titoli bancari hanno proseguito fin qui nel loro crollo di Borsa. In questa situazione di stallo, a Parigi — e anche a Berlino — c’è chi pensa di ricapitalizzare con fondi pubblici i propri «campioni nazionali», con una decisione forzosa e improvvisa: dopo Lehman lo fece anche il Tesoro americano, in un pomeriggio d’ottobre in cui convocò i grandi banchieri di Goldman Sachs, Jp Morgan e di sei altri grandi gruppi.

Se i Paesi più solidi in Europa prendessero la stessa strada, resta da capire cosa ne sarebbe degli altri. La fuga degli investitori potrebbe concentrarsi sull’Italia e sulla Spagna, i cui governi non sono in grado di proteggere le banche con i mezzi ordinari del bilancio. Di qui l’importanza di coordinare le mosse nell’area euro nelle prossime settimane. Il fondo salvataggi europeo dovrebbe aiutare anche in questo i Paesi più colpiti sul mercato. Lo farà  certo a dure condizioni. Ma per ora nessuno sa dire come funzionerà , né soprattutto a partire da quando.


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