S&P declassa undici enti locali ora indebitarsi peserà  di più

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ROMA – Dopo il giudizio negativo espresso sul debito pubblico dell’Italia e su sette delle sue banche ora è il momento degli enti locali. La mannaia di Standard and Poor’s questa volta si è abbattuta su Comuni, Province e Regioni. Undici enti, ieri sbalzati un gradino più sotto di quello sul quale fino ad ora poggiavano.
La loro affidabilità  creditizia, secondo l’agenzia, è passata da A+ ad A; il loro outlook (le previsioni sul futuro) è considerato negativo. Si tratta delle Province di Roma e Mantova, delle Regioni Sicilia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Umbria e Marche e dei Comuni di Genova, Bologna e Milano. Anche per la città  di Torino è stato rivisto – da stabile a negativo – l’outlook, ma per i debiti a lungo termine è stata riconfermata la A. Rating di lungo termine in discesa e outlook negativo riconfermato pure sui bond emessi dall’Umbria (con scadenza 2017, 2018 e 2019), dalle Marche (scadenza 2018) e per i titoli della Sicilia con scadenza 2016.
In molti casi sembrerebbe trattarsi di enti «insospettabili», considerabili finanziariamente più solidi rispetto a molti altri. Ma il ragionamento che fanno le agenzie di rating si può riassumere nel detto «chi meglio sta più rischia». In un quadro come quello attuale – visto il Paese sotto schiaffo – sono infatti considerati più in pericolo gli enti locali che fino ad oggi avevano avuto i giudizi migliori. La lettura è legata a due motivi: il primo è che le agenzie – anche se non c’è una legge scritta – ritengono che Comuni, Regioni, Province non possano avere «voti» più alti rispetto a quelli che loro stesse hanno assegnato al debito pubblico dello Stato cui appartengono. Il secondo è che – visti i nuovi tagli inseriti in manovra e la mancanza di certezza sulle entrate del federalismo – la dipendenza degli enti dai trasferimenti dello Stato aumenta. Per chi stava messo male la situazione cambia poco, ma per gli altri l’allarme un tempo lontano ora si fa sentire.
Il fatto è che il declassamento delle emissioni obbligazionarie degli enti potrebbe tradursi in un aumento della spesa per interessi. Conseguenza molto sgradita e, a detta di tutti gli enti, dovuta a esclusivamente a cause «estranee» alla loro gestione. «Purtroppo paghiamo la situazione del paese» ha commentato Claudio Burlando, presidente della Liguria, riassumendo lo stato d’animo di tutti i sindaci e presidenti coinvolti.
L’abbassamento del rating, in realtà , non è un fulmine arrivato a ciel sereno. Solo pochi giorni fa Moody’s, l’altra delle tre agenzie (c’è anche Fitch) che dettano legge sui giudizi di affidabilità , aveva avvertito che le manovre estive del governo «appesantivano ulteriormente» i conti di Comuni, Regioni e Province considerati «già  allo stremo». I 7 miliardi di budget tagliati fra 2011 e 2012 e l’anticipo al 2013 per il pareggio di bilancio non potevano che rendere le cose ancora più difficili, quindi – aveva lasciato intendere l’agenzia americana – un ritocco verso il basso era più che probabile.
Ma il declassamento ora renderà  ancora più tesi i rapporti fra enti e Stato centrale. Osvaldo Napoli, presidente facente funzioni dell’Anci, avverte: l’abbassamento del rating avrà  come inevitabile corollario l’aumento delle tasse che i cittadini saranno chiamati a pagare per gli interessi sul debito dei Comuni. «Un aumento che non è imputabile in alcun modo agli amministratori locali – precisa Napoli – bensì a scelte prese a livello nazionale». Bruno Tabacci, assessore al Bilancio di Milano precisa che «non ci dovrebbero essere conseguenze per i mutui già  in contratto», ma che ci sarà  un maggiore peso per le casse del comune nel caso se ne sottoscrivessero di nuovi. «Visto però che anche le banche italiane sono state di recente declassate, il differenziale non muta».


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